È il termine che indica in inglese
la fuoriuscita per gocciolamento
di un liquido dal suo contenitore,
ma viene usato ormai per indicare
nel linguaggio mediatico la fuga
di dati riservati dai dossier
personali dei pezzi da novanta,
che fanno il gotha della governance
nazionale e globale. Piú che fuga,
è un furto con destrezza bello e buono
di profili e notizie inarrivabili
eseguite da hacker scandalistici
denominati per l’appunto leaker.
Questi Arsenio Lupin dell’infowar
sono ormai un esercito e colpiscono
a destra e a manca, dalla Cina al Cile,
e poiché nell’armadio tutti celano
qualche scheletro, e al limite più d’uno,
ecco il mondo ridursi a una glasnost
di vizi innominabili, storture
e rapine, congiure, tradimenti,
e chi pareva un santo è un impostore.
Insomma, un fallimento generale
materico e morale dell’assetto
di tutta la moderna società.
E si primeggia non per le virtú
praticate ma per le altrui magagne
che, denunciate, minano l’immagine
del concorrente, e questi controbatte
con l’identico modus operandi.
La macchina del fango, messa in moto,
può causare l’impeachment, ma il ricatto
è prassi alla portata di chiunque
voglia ottenere senza dover dare.
In questa lotta tra giganti ciechi
ci rimettono tutti, a gioco fermo,
e l’esistenza è un mucchio di rovine.
Lo scalano gli inermi per scrutare
l’orizzonte, se mai l’incerta luce
rischiarante l’oceano di macerie
fosse presagio di una civiltà,
se non perfetta almeno affratellata
nell’ascolto mai stanco, nel sondare
la coscienza dell’altro, le pulsioni
dell’astrale ferito, e consolarne
lo stillicidio di dolore, l’aspra
natura che frastorna l’Io, negandogli
di acquisire il carisma dello Spirito.
Il cronista