La morte è un bel problema, una iattura.
Allegri! Don De Lillo, lo scrittore
USA, sostiene che la morte sia
ormai un concetto da rivisitare
con un approccio inedito, glaciale.
Lo afferma nel suo ultimo romanzo
Zero K, la storia di un magnate
che, desolato per la dipartita
della moglie, ne fa ibernare il corpo.
Lo desterà quando la medicina
avrà trovato le sostanze in grado
di curare e guarire il male che
ha portato la donna al frigorifero.
Termine questo piú appropriato in quanto
“tomba” suona inadatto, visto che
la mettono a svernare in un bidone,
secondo il protocollo criogenetico
che rende l’organismo fermo al punto
della vita sospesa, pronta a sorgere
in cellule, molecole e sinapsi,
e, risorta, pulsare come nuova.
“È l’immortalità, bellezza!” dice
il Don, parlando della galaverna
artificiale, detta “convergence”,
messa a punto dai maghi genetisti
del famoso Cryonics Institute
nel Michigan. Ma come tutti i gadget
della tecnologia mefistofelica,
è la classica pentola cui manca
il coperchio. Nel caso qui osservato
l’organo cogitante, ossia il cervello,
svolgente tra le tante sue funzioni
quella di far da tramite ai pensieri.
Cosa avverrà di questo meccanismo
tanto complesso nella sospensione
del tempo vuoto, nel congelamento
procurato con metodi a dire poco
sciamanici? Che immagini, che lampi
speculativi, o forse al dunque il nulla?
E se riprenderà dopo tanti anni,
quali ricordi avrà, quali rimpianti
delle cose e dei giorni non vissuti?
Comunque sia, il costo proibitivo
del “rimedio on the rocks” contro la morte
sarà una terapia per pochi eletti,
una discriminante inevitabile.
Conviene rassegnarsi e trapassare
nel modo che ci accorda la natura,
certi che dallo Spirito verrà
il nostro corpo di immortalità.
Il cronista