Filosofia della Libertà
Cronologicamente, questo testo di Steiner precede gli altri suoi scritti.
Steiner, da giovane laureato, si recò a Weimar per studiare le opere scientifiche di Goethe. Infatti Goethe, nei suoi scritti scientifici, proponeva un metodo d’indagine rigorosamente basato sull’osservazione, ma con la capacità di muovere il “pensare” con una modalità che potremmo definire “artistica”.
Quindi Steiner iniziò i suoi studi di ricerca per trovare un punto d’incontro tra scienza e arte, cosa realizzata da Goethe, che però non si curò di andare alla ricerca e alla descrizione di un vero e proprio metodo.
A titolo di esempio, la teoria dei colori di Goethe si contrapponeva alla teoria dei colori di Newton (divenuta poi quella dominante). Infatti, nello studio della luce e dei colori venivano comprese le reazioni animiche ai colori, oppure i colori che compaiono alla vista dell’osservatore chiudendo gli occhi dopo aver osservato un colore. È chiaro che Goethe proponeva un metodo d’indagine che considerava la realtà nella sua interezza e nella sua complessità, attraverso un’osservazione che non perdesse di vista la vita della realtà, e che quindi evitasse l’astrazione (è proprio ispirandosi all’opera di Goethe che Steiner effettuò la distinzione tra Corpo, Anima e Spirito descritta nel testo Teosofia).
Alla fine di questo percorso sugli studi di Goethe, nel 1894, Steiner scrisse La Filosofia della Libertà, opera che propose al mondo accademico filosofico tedesco dell’epoca, presentandolo non come un testo filosofico ma come un testo di scienza naturale, di osservazione dei processi del conoscere, con l’intento di proporre un metodo di sperimentazione diretta (quindi siamo nell’ambito scientifico e non filosofico) del percepire e del pensare. Tuttavia, il mondo filosofico dell’epoca non comprese il vero obiettivo di Steiner, e questo suo scritto fu considerato come una interessante opera filosofica, senza però che ne venisse colta la vera portata di ampliamento della Scienza.
C’è un’apparente netta linea di demarcazione tra il primo Steiner della Filosofia della Libertà e il secondo Steiner, che offre una serie di osservazioni sovrasensibili del mondo e dell’uomo, assieme al metodo per raggiungere la capacità di percepire il sovrasensibile.
In verità già nella Filosofia della Libertà è presente l’osservazione del sovrasensibile: il Pensare.
Quando Steiner scrisse La Filosofia della Libertà ancora non esistevano i testi Teosofia, Iniziazione e Scienza occulta, che tuttavia possono costituire un presupposto per comprendere questo suo primo scritto. Infatti è possibile arrivare ai tre testi partendo dalla Filosofia della Libertà, oppure dopo l’apprendimento dei tre testi giungere alla Filosofia della Libertà.
In Teosofia Steiner distingue tra Corpo, Anima e Spirito.
Il corpo ci consente, attraverso i sensi, di entrare in contatto con il mondo (la passeggiata nella Natura). Le esperienze sensoriali penetrano nell’anima ed immediatamente si accendono le sensazioni.
Le sensazioni sono esperienze dell’interiorità, appartengono solo al soggetto che le vive, e nessuno può vedere le sensazioni degli altri, poiché sono invisibili dall’esterno: entriamo nel dominio dell’anima.
Con le sensazioni si accendono immediatamente emozioni, sentimenti, ricordi e pensieri, ma pensieri che sorgono spontaneamente, senza alcuna attività interiore. Ciò che avviene all’interno dell’anima appartiene a ciascuno di noi, è la nostra interiorità, è ciò che ci riguarda singolarmente.
In questo ambito possiamo accontentarci di vivere le nostre sensazioni rimanendo nell’anima senziente, oppure possiamo soffermarci sull’osservazione delle leggi che regolano la vita (il fiorire, le caratteristiche dei fiori, delle foglie, l’appassire…) cioè cominciamo ad inserire nell’osservazione del mondo una nostra volontà.
Se le sensazioni, le emozioni e i sentimenti si attivano spontaneamente, al contrario questa ricerca delle leggi che governano la Natura può avvenire unicamente se noi attiviamo nella nostra anima una precisa azione interiore, che ci consente di uscire da noi stessi e di entrare in contatto con ciò che regola la vita nel mondo.
Questa tensione alla comprensione della Natura, insita nell’essere umano, implica una precisa azione interiore connessa profondamente con il “pensiero”, in un’accezione però molto piú ampia di quella normalmente presa in considerazione dalla filosofia.
Quindi l’anima si trova in una posizione centrale: da un lato il corpo che, con i sensi, ci mette in contatto con la manifestazione del mondo, e dall’altro lato il nucleo piú profondo dell’anima, che è spirituale e che, grazie ad un’attività interiore, ci spinge alla ricerca delle leggi che governano il mondo.
L’anima quindi presenta tre diversi settori: l’anima senziente che si accende nel mondo dei sensi e che può essere coltivata; l’anima razionale che si esplica nella ricerca delle leggi per utilizzarle ai nostri fini (ad esempio tutta la tecnologia); l’anima cosciente quando l’anima è pervasa dallo Spirito. Dalla connessione con le leggi profonde del cosmo sorgerà anche l’impulso ad agire nel mondo, attivando quella che Steiner definisce “fantasia creatrice”.
Per arrivare allo sviluppo dell’anima cosciente Steiner (vedi Iniziazione) indica un percorso interiore. Il primo passo è indicato nel sentimento di devozione. Senza devozione la conoscenza ci porta su una via di ricerca della potenza, dalle connotazioni prettamente egoiche.
Un secondo passo è quello della calma interiore. Le emozioni che sorgono dal contatto diretto con il mondo dei sensi ci appartengono soggettivamente e sono talmente forti da impedirci di entrare in contatto con la realtà sottile di un dato evento o di una data situazione e ci provoca semplicemente delle “reazioni”.
Steiner, che sostiene che la nostra scuola è nel mondo dei sensi, e ci sollecita ad entrarvi con una profonda e consapevole attenzione, ci propone, anche solo per pochi minuti, di rivivere una vicenda personale o un evento che ci ha coinvolto, osservandolo dall’esterno, da un punto di vista superiore, come se non ne fossimo coinvolti direttamente. Cosí facendo è possibile svelare molte cose che nel momento in cui eravamo completamente presi dalla situazione non eravamo stati in grado di vedere.
Un altro esercizio, non molto diverso, è quello relativo alla osservazione delle piante e dei minerali con la capacità di uscire dall’istintività che ci porta a dire “mi piace/non mi piace”, “bello/brutto” ma con la capacità di cogliere quel sentire sottile correlato all’oggetto della nostra osservazione.
Sono gli esercizi che Steiner ci propone per consentirci il passaggio dall’anima senziente all’anima cosciente, che si pone a coronamento di un percorso evolutivo dell’essere umano.
Infatti l’uomo, nel rapporto con la Divinità, era inizialmente paragonabile ad un bambino, il quale dipende completamente dai genitori e sono i genitori che gli danno le regole comportamentali e la conoscenza. Cosí l’uomo, anticamente, essendo completamente immerso nel Divino, dal Divino riceveva, direttamente nell’anima e senza bisogno di alcun atto di volontà, la conoscenza delle leggi universali. La sua vita (salvo rare eccezioni) era espressione del Divino che viveva in lui.
A un certo punto (è il racconto della Genesi) cade nel mondo dei sensi, e il Divino, che continuamente lo ispirava, viene a mancare; il mondo dei sensi acquisisce una importanza e comincia a formarsi l’anima senziente. Nascono le religioni, con la funzione di fare da “ponte” con il Mondo spirituale, e l’etica viene data dall’esterno attraverso le regole da rispettare: i dogmi, i rituali, le leggi (ad es. i Dieci Comandamenti).
In questa fase evolutiva l’uomo non prende neppure in considerazione la possibilità di sviluppare un’etica che nasca da se stesso (siamo nella civiltà persiana, nella civiltà egiziana).
Successivamente si verifica un grande cambiamento: nell’uomo: nasce l’esigenza di approdare alla verità e alla conoscenza con un suo moto interiore e non accontentandosi piú di una religione.
In Grecia nascono i primi filosofi; i presocratici rappresentano l’ultima luce della saggezza antica del Divino che viveva nell’anima di ogni essere umano. Con i sofisti e Socrate (siamo nel periodo che in Oriente coincide con il passaggio dall’induismo al buddismo) abbiamo il grande passaggio: nasce il “concetto” per cui l’uomo può accedere alla conoscenza e alla realtà con un atto interiore.
Con il procedere della storia, sempre piú l’uomo svilupperà due esigenze che assumeranno sempre maggiore importanza: la conquista della verità attraverso un proprio moto interiore e lo sviluppo dell’etica non piú regolata dall’esterno ma attraverso la ricerca di una profonda coerenza con se stesso.
Contemporaneamente si verifica una profonda trasformazione dell’etica, la spinta ad agire e le scelte individuali non devono essere regolate dall’esterno. L’uomo sente di tradire se stesso obbedendo passivamente alle leggi portate da un certo tipo di cultura, di civiltà o di religione, ma matura una forte esigenza secondo cui le motivazioni delle proprie azioni devono risuonare nella profondità dell’anima di ciascuno. Il Divino, che era considerato fuori dell’uomo, deve essere riconosciuto come parte integrante della profondità della sua anima.
Questo è il punto di partenza della Filosofia della Libertà.
La Filosofia della Libertà parla sia di conoscenza sia di etica, e ci fa comprendere come conoscenza ed etica siano profondamente connesse. Non ci può essere un atto etico se questo atto non è libero, e se è libero deve essere necessariamente connesso ad una conoscenza: non c’è etica senza libertà e non c’è libertà senza conoscenza.
L’impulso alla conoscenza, insito in ogni essere umano, e l’impulso a riconnettersi con il Divino, non possono che partire dal percepire e dal pensare.
L’uomo percepisce il mondo attraverso i sensi, ma percepisce anche la propria vita interiore, e ha la possibilità di esternare i pensieri di questo suo percepire proveniente non solo dal mondo dei sensi ma anche dal suo sentire sottile.
Qualsiasi ricerca della conoscenza parte dal pensare, e tutti noi abbiamo una naturale fiducia nel pensare, che utilizziamo spontaneamente come presupposto del conoscere. Tuttavia, appena arriviamo a strutturare il pensiero, formuliamo immediatamente un giudizio (“esiste solo il mondo dei sensi”… “lo Spirito non esiste”… “all’uomo non è dato conoscere nulla”…) e il pensiero strutturato porta sempre con sé il dubbio.
Ci troviamo di fronte ad una dicotomia: da un lato abbiamo una naturale fiducia nel pensare, dall’altro ogni pensiero, non appena strutturato in un giudizio, genera il dubbio.
I pensieri che vivono nella nostra anima razionale, pur cosí utili per orientarsi nel mondo, portano con sé il dubbio: il conosciuto cessa di essere conoscenza.
Quale cammino dobbiamo percorrere per accedere alla vita della conoscenza attraverso il pensare?
Osservando le caratteristiche del nostro pensare, possiamo renderci conto che esistono due diverse tipologie dei pensieri: quelli che nascono spontaneamente, in modo automatico, conseguenza delle nostre emozioni e quelli che invece sono frutto di una precisa attività interiore, intrisi di una volontà che parte dal centro della nostra anima. Questi ultimi sono quei pensieri che utilizziamo continuamente, ad esempio per risolvere un problema di matematica. Quindi dobbiamo distingue tra “l’azione del pensare” da quella di “avere dei pensieri”, quei pensieri automatici che dipendono dalle emozioni e non dalla nostra volontà.
Questi pensieri automatici, passivi, non hanno alcuna possibilità di portarci alla conoscenza, alla Vita del Pensare.
Quando siamo vittime della rabbia, o quando litighiamo con qualcuno, lasciamo spazio a qualcosa che pensa in noi, ma non siamo noi a pensare. Passato quel momento, spesso ci sentiamo pentiti di quanto abbiamo esternato o dell’azione che questo tipo di pensieri ci ha indotto a compiere. In preda ad un’emozione forte noi abbiamo dei pensieri non voluti, che nascono in modo automatico. Sono i pensieri ch potremmo chiamare “pensieri del corpo”, pensieri non voluti, pensieri passivi, quei pensieri che partono dalla nostra anima maggiormente connessa al corpo.
Appartengono a questa categoria anche quei pensieri che nascono dallo spirito di gruppo, che è molto potente. Ognuno di noi è connesso ad un gruppo (la famiglia, l’ambito di lavoro, la squadra di calcio, il partito politico, l’ideologia, l’essere nell’ambito dell’antroposofia…) e nel momento in cui il nostro pensiero è mosso dal gruppo a cui siamo connessi, i pensieri sono molto piú veloci dei pensieri voluti e si producono con rapidissime connessioni meccaniche. Questo tipo di pensieri sono strutturati di una veste logica, ma dietro non c’è conoscenza: sono pensieri morti, mossi da uno stato d’animo e non da un’attività conoscitiva reale, né da un atto dell’Io. È interessante osservarli negli altri. Ad esempio, osservando le discussioni politiche possiamo cogliere facilmente il gruppo che c’è dietro a chi esterna quel tipo di affermazioni: i pensieri sono velocissimi, e dietro non solo non c’è alcuna conoscenza, ma manca anche qualsiasi tipo di aspirazione alla conoscenza; non c’è la vita del pensare ma solo la contrapposizione tra diversi spiriti di gruppo.
Scaligero, parlando di “dialettica”, si riferiva a questo tipo di “non-pensieri”, quei pensieri morti mossi da uno stato d’animo che non hanno alcuna capacità di entrare nella realtà ma rappresentano unicamente l’espressione dello stato d’animo dell’appartenenza al gruppo.
I pensieri mossi dalle emozioni o dagli stati d’animo nascono quindi spontaneamente e si impongono alla nostra coscienza, e noi li accettiamo. Inizialmente crediamo fermamente a quanto prodotto dall’emozione o dallo stato d’animo, ma questo credere ha la stessa durata dell’emozione o dello stato d’animo. Una volta passata quell’emozione o quello stato d’animo ci stupiamo noi stessi di quei pensieri o di quelle azioni che ci sono venute cosí spontanee ed immediate.
Al contrario, nei pensieri voluti possiamo rilevare l’esistenza di un preciso atto interiore che precede la nascita del pensiero, la coscienza nasce quando il pensiero è compiuto e nel momento dell’atto del pensare abbiamo la consapevolezza di essere stati noi a produrre quel pensiero, attingendo ad un ignoto, alla dimensione spirituale, e che quel pensiero, prima che prenda forma, ha una sua vitalità interiore che si spegne nel momento in cui viene strutturato; è il momento sorgivo del pensare , è conoscenza in atto, la nostra volontà è attivata e noi siamo consapevoli di essere stati noi, per un attimo, a produrre quel pensiero.
L’obiettivo è quindi quello di riconoscere con sempre maggior chiarezza i pensieri che dipendono da un atto di volontà dell’Io, dai pensieri che si impossessano di noi ma che non sono frutto del nostro pensare.
Solo con i pensieri prodotti dalla nostra volontà abbiamo la possibilità di risalire fino al momento in cui il pensare è in atto: il momento dinamico del pensare, dal pensiero già pensato (comunque frutto della nostra volontà) al pensiero pensante verso la vita del pensare stesso.
Detto in altre parole: lo stesso percepire che applichiamo per entrare in contatto con il mondo lo applichiamo al pensiero stesso, ma questo è un atto eccezionale della coscienza, in quanto il pensiero continuamente in atto per conoscere il mondo non si pone mai nella condizione di conoscere se stesso.
Sviluppando un pensiero libero, inizialmente libero dalle emozioni, dagli stati d’animo e dallo spirito di appartenenza ai gruppi, in seguito ritrovando la sua Vita piú profonda, possiamo compiere atti liberi e quindi atti etici fondati su una viva percezione della realtà del Mondo spirituale.
Se i nostri pensieri sono mossi dal corpo, i nostri atti saranno non-liberi, in quanto mossi da forze esterne.
Per coltivare questo pensiero in modo che inizi a divenire libero, Steiner ci indica una tecnica, ripresa anche da Scaligero, che ci porta a mettere al centro della nostra attenzione un oggetto estremamente semplice, neutro da un punto di vista emotivo; è l’esercizio della concentrazione, in cui descriviamo l’oggetto con precisione, come è fatto, a cosa serve ecc.
Questo esercizio ci consentirà di arrivare ad una sintesi dell’oggetto, un oggetto semplice, costruito dall’uomo (cosí da avere la possibilità di conoscerlo in maniera completa) come suggerito da Scaligero: un bottone, uno spillo.
Questa sintesi sarà mantenuta viva al centro della coscienza. L’importante è che sia un oggetto che non coinvolga le nostre emozioni, perché altrimenti saranno le emozioni a condurre i pensieri, ad allontanarci dalla realtà e a portare, nella profondità della nostra anima, i nostri conflitti e le nostre memorie.
Dobbiamo coltivare un pensiero vivo, completamente indipendente dal nostro mondo emotivo.
Con l’esercizio della concentrazione, portiamo l’oggetto scelto al centro della nostra attenzione, lo descriviamo minuziosamente e possiamo cosí arrivare ad una sintesi di questo oggetto e a riuscire a mantenere questa sintesi, ma non come immagine statica bensí continuamente attiva, animata dal nostro pensare. In tal modo attiviamo il pensare e possiamo cogliere la differenza tra il pensiero che descrive la forma, l’immagine o un insieme di parole, e il contenuto che dà vita a quell’immagine, a quella forma.
In una prima fase il nostro pensiero sarà completamente fuso con la forma e con l’immagine, ma in una seconda fase potremo riuscire a cogliere la realtà del pensare che mettiamo in attività in un’azione che parte dal volere dell’Io.
È questo il primo accedere al Mondo dello Spirito attraverso la Via indicata da Rudolf Steiner e da Massimo Scaligero.
Una Via che passa attraverso il pensiero lucido, ripulito dalla parte emotiva legata alla corporeità (“non per volontà di sangue, di corpo o di uomo…”) ed applica lo stesso metodo utilizzato dalla Scienza per conoscere la natura profonda del Pensare.
Una Via che ci porta dall’anima razionale all’anima cosciente, attivando cosí un sentire ancora sconosciuto per l’anima razionale legata alla corporeità.
Fabio Burigana (4. continua)
Testo tratto da una conferenza tenuta a Trieste il 5 aprile 2016. La trascrizione della conferenza, rivista dall’Autore, è stata fatta da Marella, alla quale vanno i nostri ringraziamenti.