Nella Smorfia, Novanta è la paura:
di fallire, di perdere la faccia,
ma soprattutto è quella di morire.
Si rivela però un espediente
per vivere alla grande, se impiegata
come un astuto catalizzatore
di paranoie nelle masse, un mezzo
per tenere le folle sulla corda
del sospetto generico dell’altro,
che sia passante, coinquilino o amico,
compagno di merenda, socio o amante.
Oggi il Novanta si è aggiornato, indica
non piú la tèma dell’untore, ma
quella del terrorista registrato
sul libro paga del Califfo, oppure
un lupo solitario, o un mentecatto
per ragioni sue intime, un rottame
dello tsunami della civiltà
giunta alla frutta, anzi al limoncello
per digerire i rospi che ha ingoiato.
Per questo nel programma radiofonico
condotto da un quotato giornalista
s’intervistano esperti del terrore.
Uno riporta gli attentati in Francia,
elencandone i morti ed i feriti.
Un altro aggiunge quelli andati a vuoto,
o sventati: una cifra a molti zeri.
Cupa Sibilla dell’Apocalisse,
la terza convitata avverte che
ci saranno attentati nel futuro,
e cita luoghi, metodi e presunti
esecutori delle stragi, numero
delle vittime in base agli algoritmi
elaborati dai Servizi. Insomma,
è un “si salvi chi può”, un desolante
repertorio di guai, un tormentato
scenario colmo d’ansie e trabocchetti.
Per cui diffidi di chiunque, e scruti
finanche i gesti del grattacheccaro:
e chi ti dice che non sia cianuro
quello che versa nella tua granita
al posto della menta piperita?
Ti rendi conto che nel denunciare
le gesta del terrore, vere o finte,
gli sciacalli dei media hanno inculcato
fifa mortale nell’ascoltatore,
fornendo nel contempo spunti e dritte
a chi, tuttora incerto se attentare,
si decidesse a farlo, conoscendo
i database delle operazioni.
Nella Smorfia, Novanta è la paura,
umana debolezza di natura,
per chi ne fa materia conveniente
risulta invece numero vincente.
Il cronista