Dal nero dell’abisso, nottiluche
salgono tremolanti, il mare brilla
dei loro fatui lumi, vivo argento
che tempesta la chiglia. Dove andiamo
interrogando stelle, consultando
portolani imprecisi? Terra piatta
o rotonda che sia, uguale azzardo,
servi del Sole o suoi padroni, persi
nell’ètere celeste, sconfinato,
nulla di cui ignoriamo la misura
noi smarriti migranti in vaghi peripli,
in attesa dell’alba, quando un tiepido
vento aliseo ci porterà gli umori
freschi d’aprile, da una terra ignota
indizi di promesse fioriture,
erbe nuove, un aprirsi di corolle
con sentori divini, e dal maestro
albero un grido sveglierà la ciurma:
«Terra, terra!», in risposta al fuoco acceso
sull’isola ormai prossima, segnale
di una vita diversa al suo principio:
sabbie, conchiglie, palme sussurranti
il benvenuto, e volti sorridenti.
Il paradiso, forse, o un lieve sogno.
Fulvio Di Lieto