A mali estremi

Socialità

A mali estremi

La peste di Milano…Estremi rimedi, recita l’adagio. Naturalmente, il rimedio deve essere equiparato, in efficacia e rapidità, al male che intende combattere e sperabilmente sconfiggere. Efficacia, rapidità e onestà, ossia quanto promette, deve mantenere. Non mancano ovvia­mente i millantatori. Nella peste di Milano, anno 1630, come raccontato dal Manzoni ne I promessi Sposi, circolavano panacee miracolose in grado di rendere immuni dal morbo chi se ne fosse procurata una. Una tra le piú quotate era un distillato di erbe misteriose quanto rare denominato “Aceto dei Sette Ladri”. Ne erano ritenuti consumatori e spacciatori i monatti, da qui la loro immunità da ogni contagio.

Il fatto è che quando il morbo è totalizzante, si richiede che il rimedio approntato lo sia altrettanto. Ecco allora il filosofo, antropologo ed etnologo francese Marc Augé proporre il rimedio assoluto agli attuali problemi del mondo, mandando alle stampe un racconto dal titolo “Dio non esiste”, pubblicato in italiano come “Le tre parole che cambiarono il mondo”. Questa enunciazione non è di nuovo conio in filosofia. Il “Gott ist tot” di Nietzsche, nella Gaia Scienza, anticipava il concetto della morte di Dio, e già secoli prima la Scuola di Mileto aveva liquidato la congerie di dei e sacramenti quali aberrazioni psichiche di un’umanità bambina o folle, e rimpiazzando mito e religione con idee e teorie, sogni della ragione che hanno prodotto nel tempo i mostri del materialismo storico.

Stranamente però, Marc Augé, che è anche considerato il teorico dei “non luoghi”, per quello che tale connotazione filosofica possa significare, vorrebbe che l’annuncio della non esistenza di Dio venisse fatto dal Papa. Immginiamo il fatidico evento: Roma, piazza San Pietro, giorno di Pasqua del­l’anno 2018, che, guarda caso, cadrà il 1° di aprile. Francesco si affaccia alla solita finestra, la folla si agita, rumoreggia, i piccioni svolazzano intorno alle statue che coronano il colonnato del Bernini. Ed ecco, le braccia alzate del pontefice a chiedere silenzio e attenzione, poi, dopo una rapida benedizione con la destra, e nella tensione che si è venuta a creare, diffusa dagli altoparlanti, la sua voce annunciare, papale papale: «Cari fratelli e sorelle, sono qui a rivelarvi che Dio non esiste. Vi prego però di mantenere la calma e di defluire dalla piazza in buon ordine, senza intemperanze. Anche se cadono i dettami della religione, vanno osservate le norme del vivere civile e del traffico».

Il pamphlet di Augé sviluppa in meno di cento pagine e nel tono di una sapida ironia voltairiana, la trama di un phantasy postmoderno. L’annuncio di Francesco è contagioso, piú della peste di Milano. La certezza conferita alla notizia da una siffatta autorità, quella della piú estesa religione della Terra, spinge le altre fedi, in particolare l’ebraismo e l’islam, a smontare i loro apparati dogmatici e ideologici, uniformandosi alla linea di autocensura aperta dal vescovo di Roma. Scoppia la pace nel mondo, i popoli si affratellano nell’agnosticismo, le guerre del passato, in buona parte originate dai contrasti dogmatici ed escatologici, vengono riviste e stigmatizzate come aberrazioni della ragione.

Ma al contrario dei suoi colleghi illuministi della Rivoluzione giacobina, Augé non propone la Dea Ragione al posto delle divinità defenestrate. All’umanità risvegliata dal brutto sogno della credulità fideista, neppure quel feticcio da venerare. La civiltà dovrà trasferire i propri aneliti devozionali sulla sola divinità che le rimane: il “dio rotondo”, l’oro, e le sue derivazioni liturgiche, ossia il denaro e le speculazioni sulla fallace ricchezza tossica. Ciò ovviamente non basterà alle persone private del supporto interiore di giusti pensieri e sentimenti, poiché non di solo pane vivono e non la sola ragione mettono nel gioco esistenziale. Appreso che tutto è stato vano, che tutto era teatro e che dopo la morte nessuno premia o punisce, resta solo la lotta senza esclusione di colpi, il cupio dissolvi o l’arma­geddon. E nessun dio benedirà le tristi armate. I deboli e i coatti, i red necks, gli emarginati e gli sfruttati coglieranno l’attimo per consumare vendette, commettere furti e rapine, avvelenare gli acquedotti. Tanto, “dopo di me il diluvio!”.

Papa FrancescoLo “scherzo da papa” proposto da Augé è da prendersi come un divertissement letterario, uno scherzo goliardico, che però, come qualche volta accade negli scherzi, può volgere in tragedia. Poiché, se avvenisse, fuori della finzione, nella realtà, potrebbe avere esiti imprevedibili e temibili. In quanto confermerebbe atei ed agnostici nelle loro teorie negazioniste, ma sconvolgerebbe i timorati di Dio che, frastornati e indignati, direbbero: per anni abbiamo, con grandi sacrifici e rinunce, ipotecato la vita eterna, resistendo alle tentazioni, subendo soprusi e violenze, perdonando le offese, compiendo il nostro dovere ovunque e comunque ci venisse richiesto. Insomma, servendo il bene e praticando le virtú, rispettando le leggi divine e umane. E ora veniamo a scoprire che si è trattato di recitazione, di spettacolo, di messa in scena, un abile espediente per tenere buono il gregge e fargli sopportare un’esistenza da giungla, in cui il forte prevarrà sempre sul debole.

Tuttavia, poiché Augé è di scuola cartesiana, quindi con una mente volta al pratico e al misurato, vogliamo credere che la sua proposta, piú che una ennesima speculazione sui massimi sistemi che partiti dalla grandezza di una montagna si riducono alla stazza di un topolino, non voglia essere altro che un’arguta e provocatoria strenna natalizia con la quale esorcizzare i mali di cui soffre la civiltà. No, da qualunque angolazione la si voglia guardare, una proposta cosí non potrebbe che fare guasti. E ciò per il fatto che è troppo estesa, troppo dispersiva e frammentaria per produrre risultati concreti e soprattutto benefíci per i suoi destinatari. I quali, pur vivendo nella varia ecumene del mondo, sono entità singole che elaborano, nel bozzolo della loro interiorità animica, la variopinta farfalla dell’Io. E l’Io non sopporta gli scherzi, poiché ha a che fare con lo Spirito, che è tremendamente suscettibile. Come afferma un altro filosofo, un idealista, quel Fichte che sulla carenza dello Spirito ebbe a dire: «Quando s’impedisce il progresso dello Spirito umano, solo questi due casi sono possibili: il primo, piú inverosimile, che noi ce ne restiamo inerti dove eravamo …il secondo, molto piú verosimile, quando il corso della natura che si vuole ritardare irrompe violentemente e distrugge tutto ciò che trova sul suo cammino, e allora l’umanità si vendica dei suoi oppressori nel modo piú spietato, e le rivoluzioni divengono necessarie».

Il fiume del karma di un popolo, di una nazione, come di un singolo individuo, si scava, inarrestabile e incontenibile, il suo corso alla foce del prescelto divenire. Gli osservatori delle elezioni americane per la presidenza, usi agli schemi del pragmatismo mentale, di cui sono adepti e coatti per opportunismi e strategie globalistiche, hanno commesso due errori di valutazione. Il primo nel ritenere inadatto al ruolo un uomo fuori dai giochi geopolitici, seppure abilissimo in quelli imprenditoriali e finanziari. Il secondo errore, assai piú grave e determinante per l’esito finale della consultazione, è il non aver capito che il popolo americano, è naturato nel profondo degli stessi ideali etici traghettati al Nuovo Mondo con la Mayflower dai Pilgrim Fathers. Successivamente, per breve tempo, quegli ideali vennero asseriti dallo zelo quacquero nella fondazione delle prime comunità di pionieri. Indiani d'AmericaMa l’incontro-scontro con i nativi, realtà tribali allo stato selvaggio, l’arrivo di pistoleri, biscazzieri, distillatori, usurai, prosseneti, predicatori a braccio, folli profeti, compirono la rapida involuzione del rigore calvinista in giustizia sommaria, linciaggio e genocidio ai danni dei pellirosse, considerati selvaggi da sterminare, i quali non si piegarono se non al prezzo di seriali decimazioni.

In proposito Steiner, nel ciclo di conferenze Come si opera con la Tripartizione dell’orga­nismo sociale (O.O. N° 338), parla di un’ac­quisita selvatichezza americana: «Se si prescin­de dal suo belletto europeo trapiantato in America, che cosa è la civiltà americana? Detto in modo radicale è la selvatichezza; senza intenzioni sciovinistiche, se si vuol riconoscere l’essenza della vita americana diremo che gli europei non hanno vinto interiormente i pellirosse, seppure li hanno materialmente vinti, materialmente si sono compenetrati della vita indiana. Gli istinti hanno predominato; l’essenziale è che gli immigrati europei sono stati contagiati dagli istinti indiani. Non solo che l’europeo trapiantato in America finisca di avere per esempio braccia piú lunghe, come è stato provato antropologicamente, ma che egli muta la sua costituzione animica. Non si tratta di concetti e di rappresentazioni, ma della costituzione complessiva umana. Si deve convenire che quanto piú si procede verso Occidente, tanto piú l’elemento anglosassone si è fatto selvaggio».

Questa selvatichezza assimilata per osmosi dai ‘colonizzatori’ nel contatto quasi mai pacifico con i nativi, ricorda quanto capitò ai Romani antichi conquistatori della Grecia: i vinti conquistarono i vincitori, con la differenza che il contagio greco si connotava di ideali creativi e filosofici, mentre i pellirosse subirono la cancellazione repentina e totale della loro intera civiltà, che seppure diversa e fatta di conoscenze empiriche e sorgive, costituiva la loro autentica identità etnica e culturale.

I nativi nordamericani subirono, in tempi e modi diversi, la stessa sorte toccata a Maya, Aztechi e Inca per mano degli Spagnoli. Solo che questi conquistadores avevano in mente la ricerca del­l’oro e l’imposizione del catechismo cattolico, mentre i pionieri sbarcati dalla Mayflower covavano in petto quello che Steiner definisce, in un passaggio de La caduta degli Spiriti delle Tenebre, “il wilsonismo” ossia la necessità che tutto il mondo sviluppi le loro stesse condizioni sociali, gli stessi ideali cui dare nomi diversi, spesso democrazia, o altri. Aggiunge: «Lo sentiamo declamare! È il Vangelo dell’Occidente. Non si pensa affatto che tutto ciò ha sempre e soltanto un significato relativo e che anzitutto deriva da passioni e non, come si crede, dalla sola ragione e dal solo intelletto».

L’altro errore, dopo quello di aver ritenuto Trump un candidato inadeguato e anomalo secondo il paradigma politically correct, è stato il ritenere che nella contesa pre-elettorale fossero in gioco forze di muscoli e di mente, strategie e furbizie, piuttosto che quelle, piú occulte, operanti per disegni karmici, che hanno mutato in una vittoria sorprendente ciò che, alla vigilia del voto, si dava per inevitabile scacco. Il neo-eletto presidente è stato descritto dalla quasi totalità dei media, i nostri in prima fila, come un mostro dal punto di vista morale, un nemico dell’establishment che ha gestito gli USA finora, futuro sabotatore del modello di vita americano, ovvero di quel sistema ‘democratico’ ritenuto garante del welfare dei cittadini impegnati nella ricerca della felicità: la cosiddetta “pursuit of happiness” caldeggiata da Thomas Jefferson, estensore della solenne Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti dagli Inglesi di re Giorgio III, il 4 luglio del 1776. Un modello che avrebbe dovuto garantire la realizzazione del sogno americano, ma che, alla resa dei conti, non ha saputo concretizzare le forti aspettative degli yankee confederati.

Triste AmericaMichel Floquet, firma prestigiosa della stampa politica francese, ha di recente pubblicato un libro-inchiesta proprio sul fallimento del modello americano, dal titolo molto eloquente Triste America. Il libro rivela il senso di malcontento generale degli americani, che ha fatto pendere il piatto della bilancia elettorale a favore del tycoon. Floquet denuncia nel suo rapporto la disuguaglianza sociale, la violenza e la povertà, con 48 milioni di americani che si rivolgono ogni giorno alle mense caritatevoli. Mancano i fondi per le infrastrutture, la rete stradale è in pessime condizioni e il livello dell’istruzione scolastica calato in maniera sconfortante. Il cinquanta per cento del budget federale è destinato alle spese militari. Del sogno americano, dice Floquet, resiste soltanto il mito, e la massa dei cittadini comuni detesta profondamente i politici, i gestori del potere.

Scaligero, nel suo libro La logica contro l’uomo, ammonisce di non giudicare secondo pregiudizio, e soprattutto a non affidare alla sola logica il criterio di valutazione di un fenomeno storico o sociale e degli individui che lo catalizzano con il loro carisma personale, la loro valenza karmica, il loro operare per fini trascendenti: «L’equivoco della logica moderna è non avvertire che una medesima mediazione di pensiero esige ora metodo deduttivo ora metodo concettuale puro, grazie ad un identico rapporto matematico con l’oggetto. Il fatto che si vogliano conseguire criteri sicuri d’indagine grazie a un sistema la cui forza non è piú il pensiero logico ma il procedimento imitativo della logica matematica, fuori dell’ambito delle discipline matematiche, rivela insufficienza di coscienza logica. Vi sono oggetti che non possono essere sottoposti ad analisi, senza che ciò sia un non senso. L’analisi può essere rivolta a un oggetto che si possegga totalmente, in quanto il suo concetto coincida esattamente con esso o con la sua percezione. Il metodo deduttivo può applicarsi unicamente a ciò che è afferrabile nella sua interezza e obiettività. Dinanzi a un oggetto la cui totalità sfugge in quanto di esso si coglie solo qualche aspetto, o risultanza, o fenomeno, analizzare è ottusamente ritenere di avere dinanzi a sé la compiutezza dell’oggetto e di poterla afferrare, cominciando a scambiare per proprietà dell’oggetto talune rappresentazioni o deduzioni tratte da ciò che di esso si riesce parzialmente a conoscere. Un fenomeno della natura vivente, un evento storico o culturale, un fatto della coscienza non sono penetrabili deduttivamente nemmeno quando si presentino già prospettati in termini dialettici. Un ordinamento formale dell’espressione non fa guadagnare un briciolo di verità, anzi può costituire la cristallizzazione di asserti privi di fondamento. Dinanzi ad un oggetto che non riesca ad afferrare nella sua compiutezza fenomenica, né perciò nella sua sostanza, il procedimento analitico dovrebbe tacere e attendere, per onestà logica. L’oggetto deve essere ancora conosciuto e va accostato in altro modo: anzitutto mediante l’esperienza della correlazione dell’imagine concettuale con il dato, cosí che il moto della correlazione possa essere continuato secondo concretezza».

Il neo-presidente Trump potrebbe essere un uomo del destino. Lo dirà l’esito delle sue imprese, che, a credere alle sue parole, non saranno militari ma sociali. È quello che ci auguriamo, dato che è tempo che quel grande popolo, pieno di contraddizioni, sia piú occupato a rimettere ordine nei propri affari interni che nel portare la democrazia, a suon di bombe, a paesi lontani che hanno il diritto di gestirsi da sé.

Siamo alla fine del Kali Yuga, e l’età del Ferro dovrà cedere il posto all’età dell’Oro. Non certo di quello quotato in Borsa e per cui molti perdono l’anima e il corpo. È l’Oro che non va sotterrato per impedire ai ladri di rubarlo, ma che deve risplendere alla luce del giorno. È venuto il tempo che gli uomini di buona volontà escano dall’ombra e illuminino il mondo con l’Oro della virtú e dell’auto­coscienza. L’unico valore che conti, la sola moneta che abbiamo per pagarci il prezzo del traghetto dall’Era del Buio a quella della Luce.

Leonida I. Elliot