Gentilissimi, seguo la vostra rivista da qualche anno. Si possono trovare spunti molto interessanti. Ma il lavoro che l’uomo deve fare su se stesso è sempre il medesimo. Esso deve superare, non bypassare se stesso, afferrando là dove ciò è possibile. Sollecitare una presenza cosciente che possa essere l’anello di congiunzione con i mondi superiori. Nella lettura di tantissimi vostri articoli si può evincere che gli scriventi parlano molto delle loro esperienze, dei loro studi, dei loro stati animici e quant’altro. Non vi sembra curioso tutto ciò? Non sarebbe opportuno rivolgere l’attenzione ai fatti? e da questi risalire all’essenza? Cos’è l’imagine, cos’è l’essenza? Non è forse il momento aspaziale, intemporale che incontriamo coscientemente? L’intuizione ci dà modo di elevarci a qualcosa di non afferrabile discorsivamente ma ci indica la direzione da seguire. Umanamente sono stanco di leggere “ho fatto questo, ho studiato quello ed ho capito quest’altro”, la direzione è solo questa, il permanere per quanto possibile della percezione dimentichi di noi stessi. Ci accorgiamo di questo quando il tempo si ferma, quando ci si accorge che abbiamo meditato presenziando l’essenza senza determinare nulla che non sia già presente e viva. Dobbiamo solo avvicinare l’uomo all’essenza e smettere di parlare di noi stessi. Saluti.
Corrado G.
Condividere le proprie esperienze può essere un aiuto, per chi percorre la stessa via, come indicazione per incedere in modo piú rapido e sicuro rispetto a come avanziamo attualmente. O al contrario può metterci sull’avviso, nel caso chi scrive abbia fatto un errore e lo comunichi per evitare ad altri di ripeterlo. Si parte comunque sempre da ciò che si è sperimentato. Lo hanno fatto anche i Maestri, pure quando non si sono espressi in prima persona. Descrivere in modo astratto situazioni o raggiungimenti non rende il ricercatore dello Spirito un buon comunicatore, né sollecita altri a seguirlo. È vero che dire “La situazione è solo questa” sarebbe un errore grave, dato che infinite sono le Vie che portano alla mèta. Si può solo consigliare un tragitto piú breve, o meno pericoloso. E noi sappiamo, e ne siamo convinti, che oggi la Via dei nuovi tempi è la Scienza dello Spirito. Ma sappiamo anche che questa non è per tutti, o almeno non per tutti in questo periodo. C’è chi ancora ha bisogno di far parte di un gregge, ed è sperabile che abbia un buon pastore…
Vorrei sapere perché, nonostante in quest’epoca si sbandieri tanto il senso sociale, la considerazione per i diversi, per gli esclusi, i derelitti, i migranti ecc., in realtà non si riesca che a pensare a se stessi, cominciando da chi è piú in alto e includendo tutti quelli che in un modo o nell’altro riescono a restare sulla giostra che gira o ad arrembare per salirci. Cosa non ha funzionato per ridurre l’uomo ad avere un’intelligenza sviluppata, tanta tecnologia, ma a non avere un vero senso sociale, un vero umanitarismo, un vero amore per il prossimo?
Maria Letizia A.
L’intelligenza senza amore è un’espressione che può essere anche usata filosoficamente ma che nasconde una situazione precisa che è importante afferrare. Oggi c’è un’inflazione di sentimentalismo umanitario che passa la misura, fino a dimenticare i limiti che si devono porre a tutto ciò che è irrazionale, istintivo e scorretto. Questo in nome di un falso sentimentalismo che effettivamente è tutto nelle chiacchiere ma non può operare se non c’è una metamorfosi della coscienza. Una tale metamorfosi non possiamo chiederla alla massa ma a chi coltiva una via spirituale. Ci sono in tutti i popoli le masse, che sono come l’infanzia del popolo, come i bambini, i quali possono diventare degli esseri meravigliosi o dei diavoli, a seconda delle ispirazioni o delle direttive che ricevono, in modo palese o piú spesso in modo occulto. La responsabilità è di chi li orienta. Dobbiamo capire che siamo un un’epoca in cui c’è la possibilità di agire là dove si potrebbe, e si dovrebbe, dare l’ispirazione giusta alle masse. Quando questa ispirazione è invece solo retorica, nulla di buono si prepara per la società futura. La domanda è molto appropriata: perché non è possibile il vero senso sociale, il vero umanitarismo e il vero amore per il prossimo? Salvo il caso di alcune rare persone che per tradizione, per un istinto che portano in sé, sono capaci di fare del bene al prossimo, la situazione è proprio quella descritta: l’impossibilità di dare amore. Per comprendere la ragione di tale attuale situazione, dobbiamo considerare il rapporto del pensiero con il sentimento e la volontà. Non è possibile che il sentimento e la volontà non siano corrotti oggi, finché il pensiero non divenga autocosciente e sia invece dominato da quella potenza ostacolatrice che induce l’intelletto a una visione esclusivamente quantitativa del mondo, in cui il pensiero si paralizza. Qualsiasi relazione viene sempre ridotta a un problema di quantità, perché quello è il livello dell’attuale pensiero. Per superare tale livello, ci dovrebbe essere un atto del pensiero che afferrasse il punto in cui è legato. Ci viene insegnato da Rudolf Steiner che quando hanno cessato di agire le tradizioni nel senso dello Spirito, l’intelletto umano, che si preparava a essere indagatore del mondo fisico, ha seguito le indicazioni e gli impulsi delle potenze avverse allo Spirito, quelle che, assai prima che l’uomo arrivasse ad avere l’esperienza dell’ego nel mondo sensibile, avevano anche loro un’esperienza affine (pensiamo agli angeli ribelli). Queste potenze avverse hanno potuto sedurre l’uomo quando questi ha iniziato ad avere l’esperienza della razionalità al di fuori dell’anima, ossia un’attività del pensiero staccata dal sentire e dal volere. Queste entità ostacolatrici hanno percepito che l’uomo attraversava in quel momento un’esperienza simile in qualche modo alla loro, perché l’intelligenza cosmica si staccava dal Mondo spirituale e veniva verso l’uomo, e l’Io poteva afferrarla prima che arrivasse sulla Terra. L’intelletto moderno dell’uomo è nato con un impulso arimanico, ma sappiamo che c’è un disegno divino in ciò. In sostanza l’uomo non è responsabile di questo. La responsabilità ha luogo quando inizia il periodo dell’anima cosciente, quando la forza germinale dell’Io affiora nella coscienza. E cosí, come il pensare è stato deviato dalla seduzione degli Ostacolatori, è ugualmente avvenuto per il sentire e il volere. L’intelligenza, staccata dal sentire e dal volere, ha causato il gelo dell’anima, e di conseguenza la sempre piú difficile relazione dell’uomo con l’altro: non solo verso una personalità considerata in contrasto con la propria, un estraneo, un diverso, un nemico, ma persino con persone nell’ambito della stessa famiglia o ambiente sociale o di lavoro. L’egoismo detta le sue leggi, che sono quelle della mente staccata dal cuore. Ognuno di noi deve lavorare a mutare in sé questa tendenza, invalsa nell’intera società. Dobbiamo cominciare da noi stessi, senza attendere da altri il cambiamento. Diamo un segnale forte di inversione di questa tendenza, che porta all’avversione dell’uno contro tutti, alla disgregazione della famiglia, della società, della relazione fra le nazioni. Riportiamo il calore del cuore verso la mente, affinché sia sanato il suo egocentrismo, temperiamo con il calore del cuore la prepotente volontà individualistica. Offriamo un esempio positivo a chi è vicino a noi, al “prossimo” di cui parla il Vangelo. Saremo sorpresi nel constatare quanta risposta troveremo allora negli altri, e quanto il nostro comportamento formerà l’anello di una catena virtuosa di cui non si potrà intravedere la fine.
Quando mi siedo a tavola sono preoccupata per tutto quello che mangio: si sente dire che negli alimenti ci sono sostanze pericolose: additivi chimici sconosciuti che possono portare allergie o addirittura fare molto male alla salute. Cosa fare?
Stefy T.
Oggi, in epoca di Masterchef e prelibatezze di ogni genere, non si recitano piú le giaculatorie che aiutavano i bambini di settant’anni fa a mandar giú le cose poco appetibili che il dopoguerra ammanniva loro. Miracolosamente, quelle incomprensibili ripetizioni di parole di fede e di saggezza trasformavano l’amaro boccone in dono di cui rendere grazie a Dio. Oggi si sono fatti grandi progressi nell’industria alimentare, nella conservazione e nel confezionamento igienico dei cibi, ma occorre comunque un occhio attento alle etichette, per non farsi incantare da prodotti offerti a prezzi accessibili e con incarto seducente ma che poco conservano della naturalità. Se non ci indirizzeremo a una scelta oculata del cibo – sempre possibile se cercata con la volontà di trovarla – evitando prodotti le cui scritte piccolissime e poco leggibili riportino sigle sconosciute di additivi vari, ci toccherà tornare alle giaculatorie…