All'occhio

Arte

All'occhio

Dato che l’Arte si conosce artisticamente, ogni definizione non può che rimanere un tentativo.

Ma visto che tentar non nuoce: l’Arte è lo Spirito che si manifesta nel bello (o nel brutto), e propriamente in quel bello (o brutto) che rimanda al giusto.

Vagabondando tra le correnti artistiche degli ultimi tempi, mi sono trovato in quel luogo di dubbia essenza chiamato Iperrealismo, dove l’espres­sione pittorica e quella scultoria riproducono in maniera fedelissima – pressoché fotografica ‒ prevalentemente volti e corpi umani. Scommetto che a Platone pruderebbero le mani sentendo definire questa corrente come “artistica”, perché (voglio dirlo subito) questa è in verità una grande esaltazione tecnica, una riproduzione di una percezione. Mia opinione eh, ma tanto vale fare una foto. E per quelle fantastiche coincidenze che qualcuno osa definire casuali, mi è capitata tra le mani una osservazione di Steiner: «La vera arte è dappertutto un cercare, da parte dell’uomo, un rapporto con lo spirituale; …rap­presentare come Tizio e Caio si muovano sulla piazza del mercato di un paesino qualsiasi non sarebbe stato qualcosa di ragionevole per epoche vera­mente artistiche, perché in tal caso si va sulla piazza del mercato e si osservano Tizio e Caio, e i loro movimenti, i loro discorsi, sono sempre ancora piú ricchi di come si possono descrivere» (O.O. N° 276, dalla quale saranno qui tratte tutte le citazioni di Steiner). Qui Steiner parlava di teatro, ma se trasponiamo la cosa alla pittura, comunque non fa una piega.

Joel ReaDi certo non tutto l’indirizzo è “sbagliato”; è chiaro che fermarsi a un giudizio unilaterale sarebbe controproducente. Si vedano i lavori di Joel Rea, ad esempio, il quale usa sí una tecnica iperrealista, ma di essenza simbolica e carica di significati. Davvero apprezzabile!

Mi accorgo di sentire la necessità di una distinzione: quella tra Arte e Tecnica. L’entità Arte e l’entità Tecnica sono in certo modo indipendenti l’una dall’altra, e si compenetrano di quel tanto che serve per permettere “qui sulla terra” la manifestazione del Bello, quella relazione di pensieri, sensualità e praticità connessi al Vero.

La Tecnica è uno spirito orientato alla produzione dei mezzi, alla manipolazione della materia per un soddisfacimento, in senso sia positivo sia negativo. Si può tradurre anche con “abilità”, “saper fare”, e questo significato è piú affine alla téchne greca, termine spesso tradotto con “arte”.

La Tecnica da sola, almeno nella sua manifestazione terrestre (soprattutto nell’ultimo secolo!), non contiene necessariamente un rimando allo Spirito, spesso consiste anzi nel “produrre un mezzo per ottenere un altro mezzo”; gli impulsi che oggi agiscono in essa sono piú che noti alla Scienza dello Spirito, e il loro ruolo è proprio quello di occultare la vita animico-spirituale e di vincolare l’uomo alla meccanica, alla mineralità; incantarlo nel mezzo rendendolo incapace di vivere il fine.

L’Arte è piú potente, è lo Spirito che canta e insegna la vita, non escludendo il mezzo, ma trascendendolo; tramite l’arte l’uomo scorge il regno dei fini, dei princípi spirituali, e cosí intuisce l’evolvere ed evolve verso il compimento. In poche parole, la tecnica è il veicolo dell’arte, e tutto va bene quando sta al suo posto… il che ricorda un po’ il drago nello scontro con Michele. Il suo utilizzo può essere sí magistrale e artistico, soprattutto per l’artista stesso, ma trovo molto difficile definirla artistica in sé.

Disegno a penna di JuanFrancisco Casas

Disegno a penna di JuanFrancisco Casas

La differenza è sfumata, forse come ogni differenza, o forse è solo l’intelletto ordinario che ci incastra nelle differenze assolute, le quali ci spaventano, e questa paura mista a pigrizia ci fa dire che le differenze non esistono. Ma se mi trovo davanti un Turner, un Rosenkranz, o un disegno iperrealistico di Juan Francisco Casas… beh, non posso non dire che quest’ultimo tenta solamente una mera imitazione di una percezione materialistica, ed ha lo stesso valore di una passeggiata su un tapis-roulant, rispetto quella all’aperto in una splendida giornata di primavera. Un’opera “tecnica” non offre materiale all’evolversi del mondo, almeno non come un’opera d’arte, la quale è un fine in sé!

Se io dico “bravo!” a un “tecnico”, questo complimento a lui indirizzato, gli entra nel ventre e lí vi rimane; quando ci si compiace davanti ad un’opera artistica, è assieme anche il mondo che si compiace.

Uno degli impulsi fondamentali della nostra epoca è il materialismo, un fastidioso spettro di tempi passati che dilaga come un cancro nel pensiero comune, quello che “rimane sulla lingua” (il pensiero automatico, per intenderci) e che è solo una vaga ombra del Pensare; quel pensiero infimo ed egoico che è incapace di addentrarsi in un vero Ragionamento, e che quindi vive di astrattezze e superstizioni, cieco nel vedere le cause e nichilista per quanto riguarda i fini.

«Il persistere del materialismo nel nostro tempo è solo un attardarsi. …Il materialismo è un residuo arimanico di quel che era naturale nella civiltà greca e anche in quella romana. Allora si poteva guardare al fisico, perché in esso si vedeva ancora l’elemento spirituale. Poiché si è rimasti indietro, oggi non si vede piú la parte spirituale in quella fisica, e si considera quest’ul­tima solo in se stessa». Ed ecco perché il “naturalismo” dilaga (anche) in ogni campo artistico, facilitato dalla confusione tra arte e tecnica, ma fortunatamente “contrastato” dal vero artista e dal vero fruitore.

Per quanto riguarda la pittura, lascerei qui la parola al Dottore: Colori«Nella pittura una profonda comprensione per l’elemento colore è andata veramente perduta, e la comprensione pittorica nell’epoca moderna è diventata tale che è proprio una falsa interpretazione plastica. Noi vorremmo oggi dipingere sulla tela l’uomo sentito plasticamente. …Con questo, fin da principio, viene negato quel che è proprio del materiale del pittore, poiché il pittore non crea nello spazio, il pittore crea sulla superficie, ed è veramente un nonsenso voler sentire spazialmente quando si ha come materiale la superficie». E piú avanti continua: «Sperimentiamo la superficie soltanto quando abbiamo eliminato la terza dimensione spaziale, e l’abbiamo eliminata solo quando sentiamo, come espressione della terza dimensione, l’elemento qualitativo della superficie: il blu come ciò che si allontana, il rosso come ciò che si avvicina; quando cioè sperimentiamo la terza dimensione nei colori. Cosí si neutralizza l’elemento materiale, mentre con la prospettiva spaziale lo si imita soltanto. Beninteso, non parlo contro la prospettiva spaziale. È però essenziale che, dopo aver attraversato nel­l’arte un certo periodo di materialismo, il quale si esprime appunto nella prospettiva spaziale, si torni a una concezione piú spirituale anche in pittura, e dunque alla prospettiva di colore».

La quale, aggiungo, è una prospettiva intensiva, ed ha a che fare con la qualità piú che con la quantità. Si potrebbero definire i colori come le essenze del mondo animico che contengono le direttive delle forme spaziali, e per questo in pittura si tratta di “far uscire la forma dal colore”.

Ha le sue regole e, volenti o nolenti, è palese un suo influsso determinante sull’Uomo. Il colore, tramite la via della percezione, risale all’anima e, a seconda della sua tonalità, bussa al nostro cuore, o al nostro ventre, alla nostra laringe, ricordando ai nostri organi animici la loro origine e il loro ruolo. «Nello stesso momento in cui, ad esempio, una pietra preziosa verde ci viene davanti, noi trasportiamo il nostro occhio all’indietro in tempi remoti lontanissimi, e il verde ci appare perché allora delle entità divino-spirituali crearono, traendola dal mondo spirituale, quella sostanza mediante il colore verde che è nello spirituale. Nel momento in cui nelle pietre vediamo verde, rosso, blu, giallo, noi guardiamo all’indietro, in un passato infinitamente lontano».

Mediante il colore noi giungiamo in contatto con un atto creativo, con la manifestazione di un principio: «noi guardiamo giustamente ciò che in natura è colorato, se il colorato ci spinge a vedere un’antichissima creazione divina nella natura stessa».

lapislazzuloPer quanto mi riguarda, il colore che spesso mi interessa a livello terapeutico-meditativo è il blu, o le sue note celesti e azzurre… Tempo fa dovevo assolutamente liberare la gola, non riuscivo piú a parlare e ogni tentativo mi faceva sudare! Il cielo era schermato dal grigiore delle nubi e oltre che in qualche lapislazzulo non sapevo dove immergermi nel colore, per farmi sussurrare qualcosa, per lasciare entrare quelle forze.

Ogni differenza, ogni “colore” ha una vera identità. Ognuno può arrivare a capirlo e a sentirlo praticando l’immaginazione, facendosi ispirare e con coscienza intuire gli enti e gli accadimenti quotidiani oltre alla rappresentazione. Il problema è capire cosa sia realmente la rappresentazione, e uscire dal caleidoscopio di riflessi che essa comporta. Farsi pervadere dal colore è una possibile via.

Ad oggi noi siamo abbagliati e ci fermiamo sovente alla rappresentazione, e facciamo una grossa fatica a dare vero valore ai pensieri, ritenendoli solamente opinioni. Ci sfugge il processo della percezione e ci perdiamo nei labirinti del pensiero comune. Ma proviamo ad immaginare questo: i pensieri sono realtà viventi, sono spiriti. Essi, proprio perché vivono, si manifestano. Noi abbiamo una rappresentazione di questo manifestarsi, e per giungere alla loro realtà sviluppiamo – e qui dipende tutto dall’evoluzione del singolo ‒ dei concetti, che sono il frutto del nostro pensare e che ci “collegano” al pensiero in quanto tale. Cosí si va oltre la materia senza smaterializzarsi nell’astratto. Si deve affinare l’intelletto e creare concetti che abbiano valore reale, che siano veramente collegati e inerenti alla vita, e ognuno avrà modo di vedere quanti e quali sono i castelli di carte su cui si basa il pensiero comune del nostro periodo.

Non smaterializzarsi, ma “immaterializzarsi” nel vasto regno del Significato, dove si scopre e si persegue un’altissima esistenza, Sia chiaro, con “immaterializzazione” non si parla di “Aldilà”, ma di vivere nello stato di veglia autocosciente proprio dell’Io.

Se non mi fermo all’apparire e al giudizio immediato, ma faccio uno sforzo in piú tentando di scorgere i rimandi, devo ammettere in tutta sincerità di non avere alcun interesse per delle vecchie rughe rappresentate su una tela, o per delle perfette (?) rappresentazioni di foto di lussuriose ragazze che fanno smorfie. Basta aprire un qualsiasi social network ed è pieno di tutto questo. Dipingere “immagini di immagini”, che richiede senza dubbio una immensa padronanza tecnica, pare allora un po’ insensato. Un pittore deve mostrarmi la realtà del fantastico, il mondo sovrasensibile nel sensibile… non qualcosa che vedo appena apro Facebook!

Un’arte che non guarda all’eterno non scorge neppure ciò che è quotidiano.

Come si supera la cecità di questo “naturalismo” povero di rimandi? Forse bisognerebbe abbandonare le forme per ritrovarle dove hanno veramente sede, ossia disciplinare le facoltà animiche per giungere al Pensiero, laddove risiedono i princípi spirituali ‒ che sono Soggetti! – e scorgere il loro agire che poi si manifesta come fisicità. Nella quinta epoca postatlantica è iniziata da poco la risalita verso lo Spirito, una risalita resa possibile dallo sviluppo delle facoltà sovrasensibili all’insegna dell’autocoscienza. In arte, quindi, sarebbe bene maturare una nuova sensibilità, che renda “il bello che c’è negli occhi” supportato dal bello vero, quello del fenomeno nella sua interezza.

Afferma l’artista Yves Klein in Verso l’immateriale dell’arte: «Dobbiamo praticare individualmente l’immaginazione pura. L’immaginazione di cui parlo non è una percezione, ricordo di una percezione, memoria familiare, abitudine di colori e forme. Non ha niente a che vedere con i cinque sensi, con il campo sentimentale …questa è l’immaginazione di quegli artisti che non possono in nessun caso cooperare, poiché, a forza di voler salvare ad ogni costo la personalità, uccidono il loro individuo spirituale fondamentale e perdono la vita».

Si tratta di un’immaginazione disciplinata, supportata dal lavoro dell’Io che, purificando il proprio mondo astrale, screma l’ego dalle personalità transitorie, dalle ombre e dagli automatismi. È un passaggio molto importante per “l’uomo che diventa Uomo”: arrivare al Pensare puro e da lí rifecondare la vista, l’udito, il tatto… per tornare poi “nella caverna” e vederne le forme in modo finalmente reale. Solo cosí si arriva a scorgere la luce che illumina da dentro gli enti, e cosí il loro vero colore! In questa condizione la luce-essenza si manifesta a noi in modo sostanziale, e non solo come un gioco di rimandi. Questo è quello che Steiner definirebbe il passaggio dall’astrale immediato, il kama, all’astrale consaputo, il mànas, un passaggio che ha a che fare con l’anima intera, con tutte le sue dimensioni (Pensare, Sentire, Volere), e anche con il corpo astrale, il quale è il responsabile della nostra mozione-percezione esteriore (si veda il suo libro L’Iniziazione).

Ecco la strada, o almeno una delle migliori… e per chi ha occhio, è pure indicata!

E ricordiamo che non siamo abbandonati al nostro compito, poiché viviamo una generale mozione verso il Bene, e grandi entità evolvono con noi. Ed è proprio per questo “muoversi” secondo causa finale che ogni fenomeno, anche quello per noi sgradevole o dannoso, contiene in sé il seme del suo stesso superamento.

«Dove c’è pericolo cresce anche ciò che salva» disse Hölderlin, e nel nostro caso si pronunciò molto bene Klein, quando notava acutamente: «L’esasperazione accademica del realismo è stata interrotta dalla fotografia che, a mio avviso, ha permesso alla pittura di tornare nuovamente sulla via della meraviglia, ciò che deve sempre fare per essere appunto pittura, arte».

La fotografia libera il pittore! Perché mai dovrei riprodurre una fotografia allora?

Parlare di pericolo in questo contesto può sembrare davvero esagerato, ma solo quando si banalizza l’arte e la si identifica con il semplice intrattenimento!

Sono necessarie una distinzione e una comprensione reale dei significati che tramite essa si esprimono, cosí da coglierne la missione universale, ed è veramente necessario un occhio accorto (e un’anima ancor piú accorta!) che scorga il Vero nei fenomeni estetici. Oggi basta che qualcosa stuzzichi i nostri sensi per dirla arte, ma è giusto?

Un tempo l’uomo era direttamente e inconsciamente guidato, ma quel cordone ombelicale è stato reciso affinché egli maturasse nuove facoltà e riconquistasse in piena coscienza quelle perdute. Questo è accaduto anche all’artista. Allora il significato va cercato e rappresentato sapientemente, ed è nel cercare il vero che sorge il Bello! Quando il cercare è figlio dello Spirito, è assieme anche un educare, e questi sono due fattori essenziali dell’arte. Ma sono essi effettivamente presenti in ogni opera che oggi si definisce artistica? Quando ci troviamo davanti ad un’opera, chiediamoci a quale parte di noi essa parla. Se parla alle mie componenti inferiori (i primi tre chakra, per intenderci), mi risulta davvero difficile dire che è arte.

Mi sembra sia stato Oscar Wilde a dire che «una cattiva arte è molto peggiore dell’assenza di arte»… Si può anche diseducare a regola d’arte. All’occhio!

 

Filippo Loro