Il Male esiste, e insidia di continuo l’uomo, con una perseveranza che viene definita per questo diabolica. Tutto è cominciato nel Paradiso Terrestre. La storia è nota a tutti, e in tutte le tradizioni esoteriche e religiose la raccontano piú o meno allo stesso modo. Ci fu un Creatore che diede inizio a tutte le cose, compreso l’uomo, che pose in un bel parco giochi affinché ne godesse le delizie e il comfort. A un certo punto però, l’uomo venne colpito dal male tipico dei meditativi che non hanno nulla da fare, possiamo anche dire dei figli di papà, che in realtà quello era quell’essere gaudente: accusò un attacco di malinconia, di spleen, che doveva in seguito diventare il male di Baudelaire e di tutti i “poeti maledetti” francesi e i loro epigoni. L’uomo edenico era solo, e non essendoci ancora la televisione e le carte per un solitario, cominciò ad accusare apertamente il disagio:
«Cosa c’è che non va?» gli chiese paternamente il Creatore.
«Non so neppure io, mi sento un friccico, un prurito, un’ansia» disse l’uomo.
«Non sei soddisfatto del mio Paradiso?».
«No, quando mai! È un incanto. Ma non succede mai nulla, insomma mancano gli imprevisti!».
Da buon padre, il Creatore comprese. Disse: «Ho capito, ci penso io. Lasciami qualche minuto, devo concentrarmi».
Qui, le dottrine sia esoteriche, sia religiose divergono, si frammentano in svariate teorie e tesi, avanzano diverse ipotesi. La linea generale è che l’uomo non era ancora ben definito, era una sorta di androgino, un organismo fisicamente ibrido, o forse neppure era conformato fisiologicamente, con tutte le parti anatomiche funzionanti nella maniera in cui le vediamo adesso. Si ipotizza che fosse una specie di entità fluttuante, tra la medusa e l’ectoplasma, in ogni caso priva di passioni e brame.
Édouard Schuré ne I misteri di Atlantide e delle civiltà scomparse cosí ci racconta: «Nell’epoca piú antica, quando l’animale umano non esisteva ancora nel suo aspetto di maschio e di femmina, la Terra era coperta da una superficie vegetale, dove il fuoco affiorava dappertutto, mentre l’acqua, per metà liquida e per metà gassosa, era percorsa da correnti, ribollente negli abissi, trasparente nella parte piú alta. In questo ambiente, ora turbinoso e oscuro, ora luminoso e calmo, si muovevano i futuri uomini, che avevano però allora l’aspetto di serpenti dallo strano colore verde-bluastro, dal corpo gelatinoso e trasparente che lasciava intravedere gli organi interni. Al posto della testa avevano una specie di fiore luminoso, simile a una medusa, che costituiva sia il primo embrione del cervello, sia l’organo maschile fecondante, mentre l’organo femminile aveva sede nel corpo flessuoso. Nonostante le apparenze, questi esseri ermafroditi avevano una loro bellezza. Essi vivevano nelle profondità, ma in alcuni momenti dell’anno erano attratti alla superficie dai raggi solari, sotto la cui influenza vivificatrice avveniva la fecondazione. I nuovi esseri che nascevano e crescevano dentro di loro, appena diventati indipendenti si liberavano dei corpi che avevano dato loro la vita, allo stesso modo in cui il serpente si libera della pelle squamosa quando diventa troppo stretta. Non vi erano quindi né nuovi nati né morti, ma un rinnovamento continuo, in cui l’uno prendeva il posto dell’altro. Questi esseri non avevano ancora coscienza individuale, né anima, ma avevano già una sorta di percezione intuitiva, simile alla sensibilità divinatoria di alcune persone».
Noi però ci atteniamo alla tradizione, ovvero alla teoria dell’uomo fatto cosí come è adesso, soltanto mono, non ancora diviso in maschio e femmina. Il Creatore rimediò a ciò, plasmando, e anche qui le tesi divergono, chi dice da una costola, chi invece da un pezzo di creta, da una radice, dal nulla, in breve creò la donna. E da quel momento per l’uomo affetto da noia e spleen iniziò la storia zeppa di imprevisti e di emozioni forti, che in effetti era quello che aveva chiesto. Insomma, una vita piena di guai…
Il primo di questi guai fu la tentazione diabolica, che però forse non avvenne proprio per mezzo di una mela. Se lo credessimo veramente, offenderemmo sia la donna che si fece tentare, sia l’autore dell’inganno lusinghiero, che non era, che non è affatto uno sprovveduto, anzi. Al piú avrebbe usato un frutto piú esotico come il mango, fragrante, raro, di un costo proibitivo. A mio avviso, però, le cose non andarono nel senso agricolo, bensí dialettico, sofistico, che è sempre stato, con la retorica che ne è il malsano quanto inevitabile corollario, il vero strumento di perdizione per l’uomo.
La prima Eva non fu uno strumento di perdizione, quanto di creazione. A ben rifletterci, il Tentatore agí facendo leva sulla vanità intellettuale, pulsione che accompagna da sempre l’uomo (inteso in senso antropologico, e quindi anche la donna). Al centro dell’Eden, come tutti sanno, c’era l’Albero del Bene e del Male, dei cui pomi, pesche o manghi che fossero, l’uomo non doveva tassativamente cibarsi. Che fece allora il Tentatore? Insinuò dubbio, sospetto e stizza nella donna che si aggirava per il Sacro Giardino, e spesso indugiava curiosa intorno a quel magico albero, scrutando tra i rami, accarezzando riverente la corteccia, ma subito ritraendosi non appena la coglieva il pensiero che il Creatore e gli Angeli guardiani potessero insospettirsi a quelle sue attenzioni ossessive, seppure ingenue, da buona selvaggia primitiva. Su questo coacervo di curiosità e morbosa attenzione fece leva Lucifero, raffigurato in forma di serpente attorto alla scorza del mirifico arbusto. Comunque vogliate immaginarvelo, il Tentatore non fece altro che pronunciare una parola, una sola, ma dirompente, disgregatrice, sovvertitrice. Si rivolse alla donna, che sostava presso l’Albero in uno di quei suoi momenti di curiosità innocente, e disse: «Perché?».
A quell’epoca il frasario dell’uomo e della donna era essenziale, e per lo piú elogiativo. Si svegliavano la mattina e vedendo in quali meraviglie era loro toccato vivere in eterno esclamavano: «Che bello! Grazie, Signore!». E il Creatore si riteneva soddisfatto della loro ingenua e sincera contentezza.
Quell’interrogativo: «Perché?», pronunciato con un tono mellifluo, leggermente sardonico, dal Serpente, scombinò tutta la scarna semantica della nostra progenitrice, e s’infiltrò come un tossico nella sua anima. «Già – si disse. – Dopo tutto, perché astenersi?».
Era nata la ribellione concettuale, il dissenso etico, il dubbio sistematico, la rivolta gerarchica dei valori. Da quella data, la vita sulla Terra non avrebbe mai piú goduto di teorie e dottrine definitive e condivise. Nasceva la polemica, la dialettica, la confutazione: tu dici bianco e io dico nero. E poi cavillare su tutto, mettere tutto in discussione, demolire ogni principio con uno contrario.
Quella parola, ripetuta da Eva ad Adamo, precipitò i due nella materialità. Da quel momento iniziarono a lottare per superare il peso della materia, la sua durezza e riottosità a farsi plasmare, la sua caducità nel tempo, la sua inaffidabilità. Il Tentatore, quale ricompensa per la ribellione alla tutela divina, promise ai due che li avrebbe aiutati a crearsi da sé quelle comodità e funzioni che la cacciata dall’Eden aveva del tutto compromesso. Non piú vita di eterna letizia ma duro lavoro, fame, sete, dolori del parto, indigenza, carestie, alluvioni, guerre, e alla fine la morte. Vale a dire rinuncia totale allo stato angelico, per assumere la condizione precaria e lacrimevole della fisicità vulnerabile, inadeguata, precaria.
Ma Lucifero si fece garante della penalizzazione enorme cui l’uomo e la donna si erano consegnati per aver ceduto alla tentazione di essere padroni di se stessi. Il Libero Arbitrio, la libertà, l’indipendenza, l’autarchia. Disse che avrebbero potuto contare sulla sua opera per rifarsi una condizione piú o meno simile a quella perduta. Quel piú o meno suonava male, sapeva di patacca, di trucco e di raggiro, ma ormai il danno era fatto, e vuoi l’orgoglio umano, vuoi la necessità di prendere il meglio dal peggio, l’uomo accettò il patto scellerato. Cominciò a ricostruirsi l’Eden perduto, pezzetto per pezzetto, e il Tentatore collaborava, suggeriva, interveniva.
«La nostra scienza è imperfetta. Abbiamo scelto la via sbagliata per arrivare alle sue realizzazioni. Se avessimo scelto la strada illuminata dallo Spirito, avremmo ottenuto risultati migliori e soluzioni stupefacenti, senza danni collaterali». Queste parole di Maître Philippe, il grande Maestro spirituale di Lione, vissuto fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso, possono essere condivise da chiunque esamini la condizione del mondo com’è adesso.
Disponiamo di una tecnologia, di una medicina, di un’economia e di una cultura mirabolanti, ma che sfidano, contrastandole, le leggi di natura, mai assecondandole. La materia che sottoponiamo a tale coercizione si piega ma tenuta al morso, deve essere costretta, piegata all’uso che ne vogliamo fare. Non c’è amichevole accordo, collaborazione. Dobbiamo ancora scontare tutto il male che abbiamo fatto agli animali, non solo per metterli sulle nostre mense come cibo, ma anche per obbligarli, spesso con la violenza, a sopportare pesi enormi, a tirare carri e cannoni, a portare tronchi, a partecipare a stragi e battaglie. Siamo contagiati dalla malignità della primordiale connivenza con il Tentatore.
Il virus del perché si diffuse rapidamente. Le prime vittime furono, secondo le Scritture, Eva che contagiò Adamo, e via via chiunque si ponesse un interrogativo sui fenomeni della natura, sul comportamento degli umani e degli animali, e infine sul perché ci si dovesse adeguare alle leggi del creato. Si formularono le ipotesi piú bizzarre sull’origine del mondo, escludendo l’intervento del Divino. Finché non si arrivò a chiedersi il perché dello stesso Dio, visto che l’uomo, aiutato dagli Ostacolatori, era ormai in grado di fare da sé. Proprio questo si era prefisso il Serpente, sussurrando il primo fatale “perché” alla donna.
Ed eccoci a contare i danni di quella scelta: ciò che prima veniva concesso all’uomo gratis et amore Dei oggi costa fatica, denaro e consumo di risorse, provoca attriti e conflitti, avvelena le relazioni tra i popoli.
Quando avremo finito di speculare sui futili cavilli del pensiero che riflette l’ispirazione e non ne assimila la forza creativa per mutarla in fedele rappresentazione, solo allora a quel perché, a quella domanda che ci ha accompagnato nei millenni, potremo trovare la risposta rivelatrice.
Leonida I. Elliot