La democrazia, come termine e come idea, è stata concepita, per comune accezione, dai Greci, quelli antichi per intenderci, perché i moderni sono ridotti a vendersi il Partenone e il porto del Pireo per pagare le pensioni, fornire il minimo dei servizi sociali e non far scivolare uno dei popoli piú civili alla condizione paleolitica. Ma tra l’ideare e l’applicare, ai tempi di Pericle come ai nostri, c’è il mare degli interessi e dei privilegi di casta, delle consorterie, dei clan, delle lobby: gruppi di individui decisi a provare che la supremazia e il potere, le facoltà intellettuali e scientifiche vengono elargite non dal caso ma dagli dèi, in forma esclusiva, agli eletti per censo e famiglia o ai vari parvenu capaci di attivare scaltri e spesso poco onorevoli maneggi politici e accademici. Ad Atene, venne creato un modello, principe degli inganni, che attribuiva sulla carta al “Demos”, cioè al popolo, il “Kratos”, ovvero il potere, l’autorità, mentre nella realtà, di fatto, in Grecia e in seguito ovunque nel mondo, erano i poteri forti a usare la democrazia per esercitare in forma occulta l’arbitrio assoluto in ogni ambito del vivere civile. Senza vergogna, i Greci ammettevano l’inganno, al punto di dare un nome a quel tipo di invisibile consorteria, definendola “etería”: consorteria di eletti assimilabili agli Illuminati.
Fintanto che tali occulti sinedri si occupavano di politica, denaro e questioni militari, lasciando al popolo un minimo di libertà edoconsumistica, le cose prendevano quella piega di tolleranza, nel senso piú ampio del termine, che se non facevano di una società il paradiso in terra, pure rendevano un luogo e i suoi abitanti passabilmente ameni e gai. E apprestando luoghi di culto con la presenza di santi da invocare e confessori per farsi assolvere, si lasciavano aperte quelle valvole di scarico dei piú intimi, inconfessabili rovelli morali.
Quando però ci si mettevano gli Ostacolatori, ecco che le cose si deterioravano. Nelle eterie si infiltravano le teologie come Calvino a Ginevra, le ideologie come Lenin a Mosca, le filosofie come Voltaire a Parigi, e con i serventi Saint-Just e Robespierre ecco rompersi il patto potere-popolo con tutte le feroci conseguenze che dai tempi in cui si verificarono ne hanno trasportato i veleni fino a noi.
La storia dell’umanità ha ruotato intorno all’esistenza invisibile di queste eteríe, che in periodi e con metodi e strumenti diversi, hanno determinato il destino delle comunità umane nelle quali si erano formate, ora assumendo caratteri filosofici, ora messianici, ora rivoluzionari. I vari ‘ismi’ hanno elaborato, piuttosto che correnti di pensiero e azione, veri e propri calchi vuoti, nicchie di rifugio di tutte le anime, quale che fosse l’estrazione socioculturale dei loro possessori, desiderose di attingere la condizione di potere e privilegio che l’appartenenza alla loggia, alla lobby, al club riservava. L’Illuminismo, ad esempio, ha ospitato personalità delle piú disparate provenienze socioculturali, e cosí la massoneria, il socialismo e la sua derivazione estrema, il comunismo.
Ognuna di tali consorterie, segrete e avulse dal contesto sociale, piú che un luogo costituiva un archetipo a sé stante, un’incubatrice di valori, o disvalori, alimentati da entità ad essa estranee, un vacuum in cui le anime convenienti si improntavano dei caratteri e dei propositi di quelle entità. Le fumerie di oppio, le osterie e le sale da gioco non hanno in realtà spacciato estasi, ebbrezza e azzardo, quanto hanno marchiato a fuoco anime alla ricerca di una malintesa chance di esaltazione. Noi stiamo raccogliendo i cocci del primitivo inganno della democrazia, come concepita dai Greci. La libertà promessa ha virato in liberismo, l’eguaglianza in nepotismo, la fraternità in promiscuità.
Ma l’eteria dominante ha escogitato il palliativo consolatorio e liberatorio che comprende le tre valenze in una: ha elargito a tutti, ad ogni livello sociale o intellettuale, la rete, il web, la ragnatela.
Vivere non necesse, navigare necesse est, incitava Pompeo, secondo quanto riportato da Plutarco, rivolgendosi ai suoi riottosi marinai. Un’esortazione che oggi sembra piuttosto indirizzata ai moderni internetnauti. Ecco infatti che una chance di libertà per il mondo intero si trasforma nell’ennesima eteria accentratrice di un potere senza frontiere: è nato l’oligopolio delle 5 Sorelle, lo stato autarchico della Silicon Valley in California: Apple, Google, Microsoft, Facebook e Amazon. La cosiddetta “cosca delle felpe”, formata da giovani leader d’azienda che si vestono in maniera casual, con felpa e cappuccio, e la cui genialità avrebbe dovuto instaurare una creativa rivoluzione digitale, ma che invece, e ciò era nei piani, è servita da appetibile esca per dirottare le aspettative universali di libertà e conoscenza, solo in minima parte esaudite, verso un abile quanto fantasioso bazar incentivante il consumo di merci in generale e del software in particolare, e instaurando un occulto commercio dei dati personali e imprenditoriali.
Un’occasione sciupata di autentica liberazione culturale e sociale, che ha avuto tuttavia la contropartita della libertà di denuncia, la possibilità cioè di poter dire pane al pane e vino al vino su qualunque personaggio o fatto di cronaca. Ma è soltanto una libertà apparente, una voce che non trova ascolto, e soprattutto non muove il meccanismo deterrente di una qualche autorità, essendo l’autorità stessa coinvolta nel fatto, quando non direttamente responsabile del reato denunciato nel messaggio postato in rete. Si è prodotto in seno alla società umana il deleterio fenomeno dell’assimilazione del reo con l’innocente, del malfattore con il benefattore, della giustizia con l’ingiustizia. Vige l’impotenza dell’uomo di buona volontà, che ravvisando la presenza del male vorrebbe correggerlo, ma non può.
E allora? Cosí ragionando non facciamo altro che aggiungere un mattone alla pila già troppo carica delle denunce in rete, una piramide di fango giorno per giorno montante con la minaccia di sommergere tutti, accusatori e accusati sul web, assimilati in una vischiosa amalgama di correità, i primi per non aver saputo o voluto correggere il male, i secondi per averlo compiuto ignorandone volontariamente gli esiti.
Ormai è un passatempo sterile quanto disonorevole frullare in giro, a pioggia, i cascami delle cattive azioni e quelli ancora piú futili delle omissioni, goffa strategia accomunante le parti nel disonore.
L’impossibilità di intervenire sul male causa frustrazione, e questa, saturandosi, fomenta dolore. Come agire, dunque, per ovviare a questa sclerosi dell’agire, all’inanità dovuta alla rassegnazione?
Stando le cose come stanno, nessuna opzione di uscire dalla palude dell’inerzia è ipotizzabile, anche perché lo stato di impotenza dell’umanità era previsto dalla Scienza dello Spirito, cosí come da altre vie spirituali e dottrine apocalittiche. A un certo punto della sua evoluzione spirituale, l’Io doveva vivere l’esperienza della stasi, del blocco, della vacuità dell’essere e del fare, insomma ciò che l’umanità sta sperimentando in questo periodo della sua movimentata esistenza: trovarsi sola, vecchia e stanca sulla banchisa artica in attesa dell’orso.
È l’angoscia del Cristo nell’Orto del Getsemani, l’ora buia del dubbio nella vita delle grandi anime votate al sublime, come Teresa di Lisieux, Gandhi, Teresa di Calcutta, Padre Pio da Pietrelcina e tanti altri che sperimentarono il sudore di sangue, la vertigine dell’abisso senza Dio. Come fornire alle anime smarrite la certezza di riprendere la Via? Affrontare il Drago, certo, attivare le forze del pensiero per suscitare la potenza solare in grado di fugare ogni smarrimento. Armati però di quella certezza di vincere che soltanto la vera fede può dare.
Parliamo qui della fede che si risolve nella fiducia in Dio, nell’assoluta convinzione che il motore del cosmo sia stato creato a suo tempo da un Demiurgo, variamente raffigurato presso le varie religioni e credenze, che ha donato alla sua creatura la possibilità di realizzare il progetto della propria spiritualizzazione. L’uomo è dunque l’artefice designato a eseguire il compito divino che gli è stato assegnato, utilizzando la materia che da bruta sostanza, permeandosi di Spirito, chiuderà il ciclo dell’attuale creazione per iniziarne uno nuovo.
Ma una tale raffigurazione riguarda la fede razionale, quella che ha bisogno delle stampelle speculative per poter serbare la fiducia nell’Entità soprannaturale che muove il sole e le altre stelle, e che possa, all’occorrenza, far piovere in un periodo di siccità particolarmente eccezionale, tale da minacciare i raccolti, decimare gli allevamenti, fermare le centrali elettriche, fomentare le epidemie.
Poi c’è la fede irrazionale, quella dei puri di cuore, delle anime semplici, e anche degli scettici che però si dicono: “E se poi fosse vero? Se funzionasse veramente?”.
Esempio ne è il colorito personaggio magistralmente interpretato da Nino Manfredi nel film “Riusciranno i nostri eroi…”. Un ragioniere romano riparato in Africa diventa lo sciamano di una tribú che sta drammaticamente sopravvivendo a una terribile siccità del proprio già arido territorio. Gli amici partiti per rintracciarlo – nel film Alberto Sordi e Bernard Blier – considerano la sua solo una fuga dagli impegni sociali e familiari, e vedendolo officiare strani riti tribali lo valutano per quello che sembra: un imbroglione che pur di sfuggire ai suoi doveri, si finge un mago della pioggia, illudendo i poveri africani allo stremo per mancanza d’acqua. Ma con grande stupore dei due, il finto sciamano riesce a far piovere sul serio!
C’è poi la storiella raccontata dai predicatori quando in chiesa vogliono convincere i fedeli che la richiesta di intervento della divinità per essere efficace non deve prescindere da una buona dose di schiettezza d’animo e di una sincera umiltà, al limite dell’innocenza: quella della bambina che si presenta, sicura dell’intervento divino, al raduno mattiniero della processione per invocare la pioggia assente da mesi, con un ombrello. L’innocenza, passata forse per ingenuità, era in quel caso la molla giusta per muovere a pietà il Cielo e provocare quel miracolo che una risentita animosità o una formale petizione tattica avrebbe invece dilazionato.
Di recente una liturgia di rogazione per la pioggia è stata promossa dall’assessore all’Agricoltura del Veneto, Giuseppe Pan, esponente della Giunta guidata dal governatore Luca Zaia. Il 13 giugno scorso la processione si è mossa da Cittadella, luogo di residenza dell’assessore, e ha raggiunto, dopo un percorso di trenta chilometri, la basilica di Sant’Antonio a Padova. Qui è stato officiato, presso le spoglie del Santo, il rito propiziatorio per invocare la grazia divina per l’irrigazione, le semine e le messi. L’assessore non ha fatto altro che ispirarsi alla Grande Rogazione che si celebra da secoli sull’Altopiano di Asiago, ogni anno nel giorno dell’Ascensione. Censurato dagli altri consiglieri, e dai partiti in odore di agnosticimo, Pan ha calcolato, anche se senza ombrello, che mettendo alla prova i Santi magari si riesce a ottenere quello che uno Stato, piú che laico bisbetico, in totale marasma, non è in grado di dare al cittadino: ha avuto l’idea di chiedere qualcosa di materiale al soprannaturale.
La cosa strana della vicenda è che ad animarla sia stato un laico e non un prete, come invece accade nel caso del piccolo sacerdote Malachia Murdoch, dell’Ordine di San Benedetto, nel famoso libro di Bruce Marshall, Il miracolo di padre Malachia, il quale rivela ai suoi confratelli della parrocchia cattolica di Edimburgo, Santa Margherita di Scozia, di aver fatto una scommessa con il sovraintendente Hamilton della concorrente chiesa anglicana di San Niniano, ubicata di fronte. Il prete scismatico, tale è considerato il reverendo Hamilton, nega la possibilità dei miracoli, di quelli antichi come descritti dai testi sacri, e di quelli piú recenti. Ebbene, padre Malachia garantisce di far sí che, con l’aiuto di Dio, della Santa Vergine e dei santi, la peccaminosa balera ubicata nella stessa strada dei due luoghi di culto, sfrontatamente chiamata “Il Giardino dell’Eden”, fonte di scandalo e corruzione dei giovani, la sera del seguente sabato, alle undici e trenta, sarà sradicata dalle sue fondamenta e trasferita in qualunque luogo del pianeta che l’eretico reverendo vorrà indicare al momento.
Il canonico Collins, suo superiore chiede allora costernato: «Mio caro padre, mi inganno, oppure avete scommesso con quello scismatico irragionevole di duplicare il miracolo della Casa di Loreto?».
Alla conferma di padre Malachia, reagisce: «Perdonatemi se ve lo dico, ma penso che siate troppo temerario e che abbiate gravemente esposto al ridicolo la causa cattolica che noi tutti abbiamo tanto a cuore».
E padre Neary, un confratello aggiunge: «Senza contare che ai nostri giorni i miracoli sono passati di moda… Se putacaso un miracolo dovesse accadere nella stanza da letto di monsignore il vescovo, quel molto reverendo, come si chiama, si darebbe da fare per mettere a tacere l’orribile scandalo».
Ma la disapprovazione del canonico e del confratello non fa che confermare padre Malachia nella sua decisione di mantenere la sfida con l’eretico pastore anglicano, il reverendo Hamilton. Pensa: «Se i preti piú integri e piú bravi, come il canonico Collins, si pronunciano anch’essi contro i miracoli, vuole dire che è quanto mai necessario giustificarli e riscattarne il prestigio. Riprende: «Se esaminerete gli angoli piú riposti del vostro cuore, reverendi padri, troverete forse, io penso, che alla radice delle vostre obiezioni contro il mio programma vi è una certa mancanza di fede. In altre parole, voi temete che il gioco non mi riesca e che il mio insuccesso finisca col confondere i credenti, e non gli increduli. Eppure, reverendi padri, tutte le mattine ciascuno di voi si presenta davanti all’altare di Dio e, in virtú della sua qualità di sacerdote, compie quello che è, tra tutti, il miracolo piú meraviglioso: la Transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Nostro Signore e Salvatore Gesú Cristo… La trasformazione è inevitabile e ineluttabile come la legge della gravitazione universale, e quindi possiamo dire, in perfetta verità, che la messa è parte integrante della meccanica celeste. Gli eretici e gli increduli, naturalmente, accettando soltanto la testimonianza dei loro sensi, sostengono che nessun miracolo è avvenuto, giacché il Pane ha ancora tutte le apparenze del pane e il Vino tutte le apparenze del vino. Ora, reverendi padri, le parole “eretici” e “increduli” vengono da noi usate con tanta durezza da indurci a dimenticare, qualche volta, che l’Onnipotente ama costoro non meno di quanto ami noi, e ch’Egli desidera raggranellarli tutti in quel granaio eterno che noi chiamiamo il Cielo. E uno dei Suoi mezzi principali per convertire gli eretici e gli increduli consiste nel ricorrere a miracoli spettacolari, dei quali nessuno può negare la realtà. La Resurrezione e l’Ascensione di Nostro Signore e la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli… La tradizione è piena dei racconti di questi eventi spettacolari e la Chiesa non ha mai perduto la facoltà di dare segni e compiere miracoli nel nome di Lui, e come esempi di ciò possiamo citare le guarigioni di Lourdes e altri miracoli minori, d’importanza locale, come la liquefazione del sangue di san Gennaro a Napoli nella ricorrenza del diciannove settembre. Del resto, nei paesi come la Cina, ai quali la fede è stata elargita solo in tempi relativamente recenti, i miracoli avvengono ancora con una certa frequenza. La conclusione, quindi, sembrerebbe questa: che Dio, nella Sua infinita misericordia, si arrende per qualche tempo alla pretesa umana di “vedere per credere”… Perciò, canonico, non potete non ammettere che questo è il momento di battere il ferro. Un piccolo miracolo di natura spettacolare, e dimostreremo al mondo, in maniera cosí sicura da riuscire inconfutabile, che la Luce e la Verità sono con noi e che noi siamo, per designazione divina, i guardiani della Via. Un piccolo miracolo spettacolare, e potremo insegnare liberamente la nostra dottrina, e non solo alla Scozia ma a tutte le nazioni, con la certezza che ci ascolteranno».
E cosí, quel sabato sera, alle undici e ventisette, davanti al Giardino dell’Eden, ha luogo il rito di rogazione per il miracolo. Il reverendo Hamilton chiede che lo scandaloso, non per lui, edificio dove, con la scusa di insegnare i balli moderni, ragazze in gonne corte corrompono i giovani ingenui, venga trasferito sulla cima del Bass Rock, un promontorio isolato, sul Mare del Nord.
Padre Malachia, cosí prosegue il racconto: «si toglie il cappello e, consegnatolo al canonico Collins, china la sua testa grigia per chiudersi in una solenne, muta preghiera. …Non vede e non ode, perché la sua mente è tutta assorta in Dio e nella preghiera: che voglia nella sua misericordia accordare quel piccolo miracolo. …Invoca l’aiuto di Gesú e l’intercessione di Maria, di Michele, di Giovanni Battista, di Pietro e di Paolo: per loro, attraverso di loro, intorno a loro e al di sopra di loro fa salire la preghiera fino a Dio. E alle undici e mezzo in punto il Giardino dell’Eden si agita sulle fondamenta, dà un crollo pauroso, si leva lento e sicuro nell’aria e viene assorbito dalla notte tra un alone di luci colorate che dileguano rapidamente nella direzione di North Berwick».
Lí trova il promontorio di Bass Rock, e saldamente vi si installa.
Fantasia di un fervido scrittore scozzese, Bruce Marshall, certo. Ma i tempi in cui vive nella finzione letteraria padre Malachia sono gli stessi nostri di adesso, “al quadrato”, come promette una graziosa tesimonial di una nave da crociera. Tutto è al quadrato, meno la fede, che osserva solo il segno della divisione e della sottrazione.
In tanto marasma, anch’esso al quadrato, spunta ogni tanto qualche padre Malachia, che, a rischio della propria connotazione intellettuale e religiosa, afferma che il Diavolo c’è.
Riprende in questo l’uscita di Paolo VI quando ribadí, ex cathedra, che il Maligno è un’entità operante e non una superstizione.
Il lavoro degli Ostacolatori consiste nel suggerire senza mostrarsi, nel far credere di non esistere affatto, però le anime piú vigili e avvedute, magari per conoscenza diretta come Baudelaire, hanno denunciato l’inganno. Ma Dio, per dirla con padre Malachia, alla fine vuole che tutte le creature da Lui create, dopo aver battuto mille diverse strade, anche tortuose e cupe, alla fine vengano raggranellate nell’eterno granaio del Cielo.
Quanto a chi segue la Via dello Spirito, il miracolo avviene in ogni forma e palpito del creato. Ne danno stupefacente testimonianza l’erba, i sassi, la luce, il pensiero vivente dell’uomo.
Ma forse, quando tutto sembra perduto e l’impotenza trionfante, un piccolo miracolo spettacolare Dio non lo nega a nessuno, neppure agli atei, neppure ai geni della Silicon Valley. Se con l’ombrello.
Leonida I. Elliot