Negli spazi aperti l’uomo moderno, psicotico, soffre di agorafobia, in quelli chiusi di claustrofobia. Per ovviare, dovendo attraversare una piazza, si arrangia con espedienti rimediati di volta in volta; per le paure al chiuso, da qualche anno, sono state approntate speciali “panic room” in cui il soggetto in crisi fobica può riparare, fuggendo da invisibili persecutori e malintenzionati di varia caratura. Nei cinema, teatri e night uscite di emergenza vengono attivate in automatico dal gestore e funzionano spingendo gli appositi maniglioni delle porte, di solito metalliche, da cui spettatori o clienti escono su strade laterali, spesso distanti dal locale. La cronaca ha riportato casi di mancato funzionamento del meccanismo di apertura delle porte, accidentali per lo piú, ma non di rado intenzionali, per interdire gli ingressi a sbafo, con esiti drammatici di soffocamenti, schiacciamenti, collassi.
Anni fa si pensò di ricavare le uscite sugli anelli dei circuiti automobilistici piú veloci, per offrire ai piloti messi in difficoltà da noie meccaniche, o da altro grave motivo, una via di fuga dalla chicane. Poi, non se ne fece nulla, poiché prevalse lo spirito ‘gladiatorio’ del “mors tua gaudio meo”, ossia senza rischio mortale non c’è sugo nello spettacolo offerto al pubblico pagante, e piú ancora a quello non pagante ma che, essendo munito di uno dei preziosissimi e ricercatissimi biglietti omaggio dispensati, si mormora, secondo criteri nepotistici, ad personam e per quote suffragio, può decidere se comminare pollice recto o verso alla performance, agli interpreti e agli organizzatori dell’evento. E guai a deludere la seconda categoria di spettatori. Si rischia l’estromissione dal mondo che conta, sia in termini di oggetti materiali e finanziari, sia piú ancora, in quelli del potere politico e culturale.
Per la storia, cartelli segnalanti le uscite di emergenza sono restati in uso fino a tempi recenti su alcune strade di montagna dove la pendenza è particolarmente severa. Con l’avvento però dei nuovi sistemi frenanti, le uscite sulle piazzole d’emergenza vengono usate per fumare, chattare o godere il panorama. La maggiore sicurezza offerta dai freni piú efficienti e affidabili è stata purtroppo vanificata dall’introduzione di motori supercompressi carburati con miscele in grado di scatenare non solo centinaia di cavalli potenza ma di trasformare pavidi, sedentari travet e dolci, garbate signorine Felicita in mostri d’incoscienza, divoranti il tratto Roma-Firenze in 120 minuti da casello a casello. Montata in groppa alla tigre della velocità, l’umanità non può e non sa piú come balzare a terra per riprendere il cammino dell’autorealizzazione al ritmo e con i modi e metodi intonati alla vita naturale. Teme di venir divorata dalla famelica e spietata creatura da lei stessa architettata, e si sente perduta.
Avendo sbarrato per orgoglio, l’antico peccato, l’uscita di emergenza divina, svenduta la poesia, canale privilegiato nel rapporto tra l’essere carnale e il trascendente, si vagheggiano uscite alternative.
Molte di queste evasioni dai problemi contingenti sono del tutto velleitarie, diversive e non risolutive in termini pratici. Il celebre detto inglese “To beat around the bush” indica appunto battere intorno al cespuglio in cui si è rifugiata la volpe, evitando di entrare nel folto per stanarla. Come la scienza che – incapace, ad esempio, di venire a capo del problema dei rifiuti che ingombrano il suolo e il sottosuolo, che soffocano gli oceani e che, a quanto ci raccontano gli orbitanti nelle sedicenti capsule spaziali, rischiano persino di invadere il vuoto siderale – si diletta con maldestre intrusioni nell’ignoto territorio della genetica, con esiti non soltanto inconcludenti ma, per le procedure seguite, con risvolti comici.
Una équipe di ricerca francese ha indagato il processo evolutivo che in cinquemila anni di impegno umano ha consentito agli ovini addomesticati di rimpiazzare il pelo con il vello. Vari incroci sono stati necessari per operare il salto dal pelo alla lana. I genetisti hanno ottenuto il grande risultato esaminando i geni di migliaia (circa duemila) agnelli nati dall’incrocio tra la razza Romanov – molto idonea alla procreazione e poco alla macellazione, e dotata di ricco vello – con la razza francese Berrichon del Cher – piú adatta al macello che al vello. Analizzando la chiave genetica del processo in questione, lo studio ha chiarito che sono pochi i geni che regolano la nascita della lana. Il tutto avviene poiché gli incroci millenari hanno ridotto il canale midollare del pelo.
Per contiguità geografica, la sindrome della ricerca estrema deve aver contagiato i fervidi cervelli degli scienziati italiani, piemontesi nello specifico. A Torino, un apparato sperimentale ad hoc sta lavorando, con tedeschi e giapponesi, alla trasformazione della metrologia mondiale, stabilendo le nuove unità di misura, avendo come base il chilogrammo campione aggiornato ai nuovi parametri ricavati misurando la distanza interatomica degli atomi di silicio. In fisica la parola “atomo” fa lo stesso effetto della qualifica “bio” per i prodotti alimentari: indica precisione, efficienza, qualità del prodotto, che si tratti di una stringa quantistica o di una mozzarella. Sull’etichetta del latticino fa garanzia il dettaglio dei valori organolettici, su quella, invisibile ma non meno importante, dello studio dei metrologi teutonipposabaudi, verrà detto e garantito che l’operato dei ricercatori si è attenuto al dato base fornito dal Grand Kilo, il cilindro di platino e iridio conservato a Sèvres, presso Parigi, aggiornato con le costanti fondamentali basate sulla distanza e velocità degli atomi. Senza dimenticare i princípi fondamentali della fisica cui si era ispirato in passato Avogadro, elaborando l’omonima costante, sostituita in tempi recenti da quella di Planck. Misura per misura. Essendo il nostro pianeta diventato ormai inospitale e precario come un lavoratore italiano, lo spazio sembra offrire una sostenibile via di fuga, o, meglio ancora, un contatto stretto con esseri alieni, eventualità questa sempre irrisa dagli esperti e osteggiata dai governi, anzi dal governo globale.
Per qualche tempo è circolato su YouTube un video in cui si annunciava l’imminente apparizione in cielo di una grande astronave, quella del tipo ‘Incontri Ravvicinati’, nel gergo contattista definita “madre”, e come tale impulsata di materne, benefiche intenzioni verso i terrestri, non come l’astronave ‘matrigna’ del film “Independence Day”, venuta a scatenare l’Armageddon della razza umana. Nel film lo faceva capire senza perifrasi il capintesta alieno, un lubrico essere tentacolato, che alla domanda dell’omologo terrestre: «Cosa volete che facciamo?» rispondeva, stronfiando, sprezzante: «Dovete solo morire!».
La grande astronave annunciata nel video si sarebbe invece fermata a mezz’aria, partorendo dal suo grembo gigantesco una nidiata di dischetti argentei, nel lessico appropriato ricognitori, barchini o scialuppe, per assimilazione al lessico marinaro, trattandosi pur sempre, al limite, di una smisurata nave spaziale. Man mano che usciva dall’astronave vettrice, la covata dei ricognitori si sarebbe sparpagliata prillando, bilicando nel vuoto, sfagliando luci magnetiche, disperdendosi in varie direzioni, secondo uno schema che all’osservatore sarebbe potuto apparire casuale ma che seguiva un piano ben preciso e meditato: si trattava dell’operazione preconizzata dalle Scritture di recupero dei terrestri in stato di grazia, ossia la biblica “separazione del grano dal loglio”, prima che la Terra venisse sottoposta a un globale repulisti, con la successiva rigenerazione del pianeta inquinato, depauperato, reso sterile da millenni di incuria e di selvaggia predazione.
Naturalmente la profezia evangelica si muove per linee escatologiche che non prevedono abduzioni e trasporti astrali con macchine soggette ai canoni della materia. Tuttavia, l’intervento angelico avverrà nei tempi e con le modalità fissate da un’imperscrutabile agenda celeste. Nescitis qua hora Dominus veniet, recita il monito delle Scritture. Fino a quell’ora fatale dovremo preparare il nostro bagaglio animico, che dovrà essere leggero, non contenere l’esplosivo delle passioni, l’alcol dell’ebrezza sensuale, i profumi delle vanità. Sull’astronave che, novella Arca, risparmierà gli eletti e li trarrà in salvo dal Diluvio restauratore, i passeggeri saranno rigenerati e resi liberi dai veleni subíti, sia fisici che interiori.
Non la pensa cosí l’astrofisico e cosmologo Stephen Hawking, che da anni, benché penalizzato dalla SLA, dedica la sua fervida mente deterministica alla ricerca di realtà pensanti nello spazio profondo, ossia a rilevare possibili forme di vita intelligente e organizzata al di fuori della nostra Terra. Tempo fa annunciò la possibile eventualità che la nostra civiltà cibernetica sia destinata a divenire l’ultima Troia, consumata cioè da un immane incendio causato dal surriscaldamento dell’ambiente geofisico dovuto, in maniera preponderante, non all’uso massiccio di auto e impianti di riscaldamento nei Paesi cosiddetti avanzati, bensí per l’impiego di forni, fornelli e grill a legna e carbone, nelle aree in via di sviluppo, come la Cina, l’India, e l’Africa. Per una tale catastrofica eventualità, Hawking disillude chi si aspetti un sollecito e fraterno aiuto da parte di entità angeliche in veste di alieni provenienti dallo spazio. «Attenti – dice Hawking – è possibile che nella sconfinata dimensione cosmica ci siano altri esseri viventi e pensanti, ma diffidate di loro: potrebbero trattare noi umani terrestri come fece Colombo con i nativi del Nuovo Mondo. Si comportò da schiavista della peggiore specie».
Apriti cielo! Finché un monito, nel caso quello di diffidare degli alieni, viene da un visionario qualunque, la gente non ne tiene gran conto, ma se viene da un sapiente del calibro di Hawking si è portati a prenderlo per Vangelo. Ecco allora che a farne le spese è stato il povero Cristoforo Colombo. Le sue statue sono state oltraggiate o abbattute in tutti gli Stati Uniti, da New York a Los Angeles, dove è stato cancellato il Columbus Day, la celebrazione in onore del navigatore, culminante in festose e variopinte sfilate, cui partecipano le maggiori associazioni italoamericane. Un vero affronto.
E tutto il bailamme è per l’enunciazione di un solo uomo, geniale quanto si vuole, ma privo di tatto. Per la verità occorre dire che la reazione degli americani contro la figura dell’Ammiraglio del Mare Oceano è stata in parte esasperata dall’uso ormai collettivo del “fentanyl”, un oppioide sintetico che crea forte dipendenza. È cinquanta volte piú forte dell’eroina e cento volte piú della morfina. Causa, dicono le statistiche, circa novanta morti al giorno per overdose. E per quanto strano, a farne uso non sono i derelitti sociali e disadattati vari, ma soprattutto maschi bianchi sotto la cinquantina, della classe media e benestanti. Si tratta quindi di un male che non colpisce la sfera materiale ma quella morale. È la disperazione incoercibile dell’individuo che non riesce piú a imboccare l’uscita di emergenza spirituale, la sola in grado di consentire all’Io di sottrarsi alla follia esistenziale e ritrovare se stesso.
Massimo Scaligero, nel suo Psicoterapia, fondamenti esoterici, spiega le motivazioni che spingono gli individui a far uso di sostanze che suppliscono alla carenza, o persino assenza della forza dell’Io: «L’alienazione della coscienza rispetto alla vita emotivo-istintiva è conseguenza della cerebralizzazione del pensiero, che toglie alla coscienza la possibilità d’indipendenza del sistema nervoso e di percezione diretta dei moti della psiche, la cui sostanziale realtà si svolge fuori di tale sistema. Una delle ragioni per cui l’uomo di questo tempo è portato a procurarsi in qualche modo un surrogato della sicurezza interiore, mediante droga, o attivismo, o mito, è appunto l’oscuro intuito della inadeguatezza della coscienza rispetto alla richiesta dei sentimenti e degli istinti. Alla dialettica prodotta dall’inadeguatezza, la condizione della emotività e della istintività si presenta come un non senso. Tale non senso viene con ogni cura evitato, ma esiste ed assedia l’uomo, sempre piú riesce ad avere ragione delle sue difese razionali, della trincea della logica. Quando la trincea viene travolta, se il soggetto riesce ad evitare la clinica psichiatrica, penserà l’inadeguato psicologo a coltivare in lui lo stato di collasso mediante un’arte che ignora come far sorgere il reale guaritore, l’Io: un’arte che non afferra il male in atto, ma riesce a dare la sensazione di curarlo, perifericamente disincantando la paura, in definitiva mediante sollecitazione di un sentimento: l’illusione di essere assistiti da qualcuno che sa come stiano le cose. V’è tuttavia, oggi, per un determinato tipo umano la possibilità di fare della propria frana interiore un impulso ideologico, la cui dialettica può presentare caratteri di decisione rinnovatrice, ma in realtà è un fenomeno espressivo del mentale condizionato dalla cerebralità, privo di consapevolezza del condizionamento. Il suo reale contenuto è grettamente conservatore, perché non può cambiare nulla fuori di sé, non avendo movimento in sé: scambia infatti per proprio movimento la mediazione cerebrale, che è il vincolo inconscio del pensiero. Grettamente conservatore, tale impulso è distruttivo nella sua estrinsecazione sociale, in quanto finge la rinnovazione mediante mutamenti fisici, esteriori, meccanici, che lasciano immutato lo stato di fatto reale. In realtà il sistema nervoso serve alla percezione dei sentimenti e degli impulsi, non al loro prodursi, allo stesso modo che gli organi dei sensi servono non a produrre sensazioni, bensí a percepire i contenuti sensibili. Come l’occhio non può essere alterato da ciò che vede, allo steso modo il sistema nervoso non dovrebbe essere toccato dai sentimenti e dagli impulsi, avendo semplicemente il compito di trasmetterli alla coscienza, o all’Io».
Mancando della regía trascendente dell’Io, i surrogati della sicurezza interiore assumono aspetti e procedimenti, oltre che trasgressivi, grotteschi. Sempre dagli USA ci arrivano i robot del sesso, bambole e manichini clonanti in tutto e per tutto i prototipi umani, il che fa capire quanto sia profonda la voragine di misantropia, misoginia e incomunicabilità nella quale è scivolata la civiltà delle magnifiche sorti e progressive. L’astrale, provato dall’assenza del Grande Timoniere, trasmette all’eterico, e quindi al fisico, quella corruzione delle forze vitali, spesso culminante, dopo la futile soddisfazione degli istinti, nel rifiuto della vita, per quella irrisolta inadeguatezza della coscienza di cui parla Scaligero.
Ecco allora il “killfie”, il selfie autodistruttivo: ci si fotografa in caduta libera, o poco prima che il treno ci travolga, o ci si immortala in un video dello schianto della nostra auto spinta a folle velocità contro un palo della linea elettrica trasmesso in diretta su Facebook. Il ‘like’ sul web è la postuma apologia mediatica di un gesto inutile, frutto mortifero i cui semi, sparsi nel mondo dalla rete, diffondono il virus dell’emulazione.
Ci sono tuttavia, per chi non sceglie il gesto estremo, forme meno cruente e definitive per risolvere la nostra inadeguatezza a vivere. È in gran voga il “poliamore”, che si propone di creare forme alternative di società istituendo matrimoni tra piú persone, oppure di uomini e donne con cani, gatti e le possibili, imprevedibili varianti bestiali. La gallina invece, sorprendentemente, data la sua taccia di stupidità, non viene scelta per riti nuziali ma addirittura come animale da compagnia. E ciò per via che, a dar credito a un emerito professore di etologia in una prestigiosa università tridentina, pare che la mente e il cervello umani derivino le loro facoltà fisiologiche proprio da quelle della gallina… Lady Gaga, la trasgressiva pop star americana, di origini siciliane, detto per dovere di onestà, intrattiene con la sua gallina rapporti intellettivi particolarmente gratificanti. Ignoti gli argomenti trattati. Del resto, il buon Banderas, relegato ormai da anni nel suo mulino del mondo buono, ha discusso a lungo, nel tempo, di tarallucci e freselle con la gallina Rosita, che reagiva alle sue argomentazioni con radi gorgoglii e brevi cenni del bargiglio. Parlare poco e ascoltare assai: questo il Tao di Confucio praticato dai polli assai meglio dell’uomo.
Ci sarebbe l’uscita di emergenza della religione. Ha funzionato finché era dato per certo dai decaloghi e dalle scritture che oltre questa vita ci fosse un paradiso per i buoni e un inferno per i cattivi e che Gesú Cristo fosse nato per garantire, con il suo estremo sacrificio, che la glorificazione per i santi e la dannazione per i reprobi venissero applicate. Poi, è venuta la teologia della liberazione, ossia in termini morali dopo la dipartita nessun inferno e nessun paradiso: chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato. Calvino ha vinto: la grazia è stata già riscattata per tutti dal Cristo. Quindi, lo stesso trattamento assolutorio per chi ha sgobbato tutta la vita nell’Italsider e chi invece se l’è spassata a Montecarlo.
C’è quindi una gran confusione in giro per il mondo incappato nel Niño di una deriva morale come mai prima nella storia dell’umanità. Si tentano uscite disperate, alcune però con risvolti stravaganti.
A Napoli, sono ricorsi alla scaramanzia, in ossequio a un fatalismo di stampo grecofenicio che è ormai passato nel corredo genetico del suo popolo: un corno, alto 63 metri verrà eretto a breve sul Lungomare Caracciolo, a spese della municipalità: un corno rosso, come quelli di corallo. I devoti di San Gennaro, protettore riconosciuto della città, ce l’hanno a male, e temono ritorsioni dal martire decapitato che scioglie il suo sangue il 29 settembre, se è in buona… Ma chi propone questa protezione contrapposta dice che il santo patrono non può che approvare, visto che il corno, detto ormai “della discordia”, è per il bene di Napoli. E infatti, a riprova, anche quest’anno il miracolo di San Gennaro si è puntualmente verificato.
Di là da ogni stravaganza, oltre ogni vera disperazione, c’è la preghiera. Come avverte Scaligero: «In realtà la preghiera è possibile all’uomo a ogni grado dello sviluppo, da quello appena capace di consapevolezza dei limiti oggettivi, al grado della concentrazione profonda. In sostanza, quando la concentrazione profonda si realizza, è uno stato superiore di preghiera, senza parole: che non può non essere continuo, come continuo è il moto della creazione. La preghiera a questo livello è l’offerta di sé dell’anima, che può accompagnarsi alla richiesta di una presenza orientatrice, o della guarigione o sollievo di esseri sofferenti, dell’intervento del Mondo Spirituale in problematiche situazioni umane. Tale preghiera si realizza con la certezza della risposta positiva del Mondo Spirituale. Il discepolo può chiedere tutto alla Forza cui nulla è impossibile: già nel volgersi ad Essa si sente esaudito, in virtú dello spirito d’identità del Logos, da cui muove».
E allora, come ci disse l’Uomo di Galilea, ovunque siamo, in mezzo alla triviale città meccanizzata, spinti e schiacciati da un’umanità come noi alla ricerca di una via di uscita dal tritacarne della nostra identità, o che ci troviamo isolati nelle nostre fobíe e nevrosi, alieni al mondo per le nostre misantropie e angosce irrisolte, cerchiamo un angolo quieto, uno spicchio d’ombra nel deserto delle nostre miserie e desolazioni intellettuali e sentimentali, una polla fresca nell’aridità dei nostri materialismi cerebrali, preghiamo.
E cosí, mentre il cuore trema per quello che diremo e chiederemo a Chi abbiamo ripudiato senza ragione e alla fine solo per il ben misero tornaconto della vanità, pronunciamo le semplici parole della preghiera adatta a stolti e saggi, a poveri e ricchi: “Padre nostro”. Il resto verrà da sé, fluirà dalle nostre labbra di uomini superbi, ritornati umili figli devoti, amorosi.
Leonida I. Elliot