Selva d’alberi spogli e inerti l’ansa
della darsena fitta di velieri,
assente il vento, l’urlo sincopato
della sirena a tratti fende l’aria
immobile, vi incide cretti e solchi
di nebbia rugginosa, il sale ovunque
rode cavi e catene, chiglie stinge.
Poi dall’alto un richiamo inconoscibile
darà il segnale di partenza, l’àncora
risalirà coperta d’alghe e sabbia,
forte stridendo lungo la carena.
L’uomo alla barra del timone avrà
un breve soprassalto. Ordinerà
a invisibili mozzi di snodare,
d’un colpo solo, cime, corde e canapi,
e un fiotto bianco, un secco dispiegarsi
di vele, un forte strappo ai legni, un balzo
della nave possente adesso nuvola
candida e lieve, un albatro disteso
nel sole chiaro. La leggenda vuole
che soltanto nel turbine si sciolga
il maleficio, la condanna antica
si riscatti all’amore oltre la morte,
fermando l’incessante navigare.
Cosí tu, cuore, lasci piú serene
dimore, piú sicuri ormeggi ai segni
che vengono dal mare e che t’inducono
ai sogni temerari, alle speranze
di libertà, di favolosi approdi.
Ma i peripli piú arditi si riducono
al breve spazio del fantasticare,
alla voce che chiede: «Dove vai?»
e ti riporta alla tua vita vera,
all’isola interiore che tu sai.
Fulvio Di Lieto