La posta dei lettori

Redazione

La posta dei lettori

Scrivo per chiedere un parere sulla visione quantistica circa la parte piú sottile del corpo dell’essere vivente umano: gli elettroni. Questi sono quasi tutta energia, contenendo in proporzione pochissima massa, e mi chiedo se quindi la parte piú spirituale dell’essere umano possa essere da loro assorbita, se sí, se conservata anche dopo la morte. Ricordo che Steiner parlava della necessità della terra di accogliere cadaveri umani, ma ora che non si pratica piú l’inumazione non so come possa essere utile alla terra la tumulazione o cremazione, forse parlava di energia, di elettroni? Oggi ho letto il testo che segue, e volevo chiedere gentilmente se c’è qualche collegamento con la visione antroposofica. Se cosí fosse, mi chiedo se il Karma individuale non possa essere influenzato dagli elettroni che passano di corpo in corpo! «Come la materia, gli organismi viventi sono costituiti da atomi. Gli atomi a loro volta sono costituiti da masse: nuclei ed elettroni, pura polvere stellare. I nuclei degli atomi e gli elettroni di un individuo hanno già reso servizio nell’organismo di altri individui, di animali e di piante ed erano già presenti, immortali e in altre galassie. Gli elettroni sono immortali e i protoni hanno una vita stimata ad anni 1.080 (alla 80esima potenza) che per noi si avvicina all’infinito. Il DNA di una singola cellula pesa circa 1 (uno) microgrammo, e contiene circa 100 milioni di elettroni. Essi, qualche anno dopo la nostra morte si distribuiranno in modo uniforme in uno strato atmosferico a circa 100 km di altezza e in ogni centimetro cubo di questo strato di aria saranno contenuti alcuni di quegli elettroni che hanno ottemperato alle loro funzioni nel nostro DNA. Chi vivrà dopo di noi ad ogni ciclo respiratorio inalerà alcuni dei nostri elettroni (del DNA) e questo durante la durata di vita del pianeta Terra (Charon 1981)».

 

Sabi

 

La visione quantistica riesce ad essere molto affascinante, perché sembra inerire in qualche modo a una concezione spiritualistica. In realtà, secondo la visione antroposofica, la parte piú sottile dell’essere vivente è eterica: essendo alla base del corpo fisico, ne è parte integrante, perché un corpo fisico non può vivere senza l’eterico: sarebbe un cadavere. Alla base del corpo eterico, poi, c’è l’astrale, ovvero l’anima. E alla base dell’astrale c’è l’Io, ovvero lo Spirito. Quindi il fisico è retto dallo Spirito. Gli elettroni, come gli atomi, sono il contrario: non sono l’inizio della materia, non ne sono la base ma la fine, il decadimento, il disfacimento. Quando il corpo fisico, dopo la morte, si decompone, entra a far parte della terra fisica, anche se il cadavere non viene inumato direttamente nel terreno, o in caso di cremazione. L’eterico a sua volta si disfa nel regno eterico, e torna a far parte dell’atmosfera vitale dell’intera terra. Il corpo astrale deve anch’esso disfarsi, dopo la morte, nel mondo astrale. Il processo è piú lento ma deve compiersi, dando altrimenti luogo a involucri che possono essere abitati da entità astrali inferiori: quelli che vengono chiamati in molti modi: fantasmi, egregore, larve fluidiche ecc. L’Io segue il suo percorso, abbandonando prima la spoglia eterica, quindi l’astrale, con il conseguente lavoro di espiazione del Kamaloca, per entrare, infine, nel Devachan. Una visione, questa, difficilmente adattabile a quella materialistica del testo citato.




Mi vado sempre piú convincendo che le entità javetiche ‒ e forse Jahvè stesso ‒ sono cresciute, dopo la venuta del Cristo, sviluppando negli uomini l’immagine del mondo. L’Arconte di questo mondo è avverso al Cristo. Non c’è scritto da nessuna parte che è “illegittimo”. Questa è una stupida perversione cattolica. Occorre guardare le cose in faccia. “Bilancia metro e numero” sono il modo di considerare la realtà fisica sia di Jahvè che di Arimane. Lucifero è avversario di Arimane, esattamente come era avversario di Jahvè. Ho l’impressione che Steiner non abbia detto questo perché, mi rendo conto, la gente non era preparata a concepire il dio del­l’Antico Testamento come colui che ora è il diavolo (come in certe concezioni gnostiche, Marcione in primis). Eppure, se le cose cambiano, si trasformano, le entità che dovevano condurre all’ “Io” umano, se non unite al Cristo, rimangono a compiere la loro missione. È Jahvè che, dividendo i sessi, determina la morte. E il dio, anzi, l’angelo della morte, è Arimane. Quindi: il Cristo ‒ che non è venuto ad abolire, ma a completare ‒ entrando nel regno di Javhè, entità lunare creatrice della morte, sperimenta la morte e completa la creazione degli Elohim. In sostanza dà agli uomini la possibilità della scoperta dell’Eternità, superando la morte javetica, la generazione nel sangue e col sangue, restituendo quest’ultimo alla sua luminosa funzione di veicolo dell’Io. Seguendo il Cristo, la coscienza umana ritorna in Paradiso, cioè supera la morte, ha la forza di guardare oltre la porta della morte. Rimanendo libera. Arimane può diventare un aiutatore, come Lucifero. Se non lo farà – ed è questione che attiene ad ogni singolo uomo cristificato, non a una generica e inesistente “umanità” ‒ il destino, il karma, è di finire, attraverso Arimane, nelle grinfie del 666. Che distruggerà l’Io, cioè la coscienza del Divino. E il singolo sarà perso per l’Eternità. Ma è il rischio della libertà. “L’esperimento uomo” potrebbe anche fallire…

 

Antonio C.

 

Come commentare? Solo un’esortazione: mettiamocela tutta per evitare il fallimento!




Leggo da molto tempo i contenuti di questa rivista, ricevendo l’impressione che molti di coloro che contribuiscono coi loro interventi abbiano svolto un lavoro incessante e proficuo sulle linee guida tracciate da Steiner e Scaligero. Desidererei porre una questione circa l’aspetto tecnico-operativo della concentrazione. Premetto di essere approdato alle tecniche di Scaligero da poco tempo, dopo studi, approfondimenti ed esperienze con altri sistemi che in qualche modo hanno forgiato una attitudine aperta, nei confronti della ricerca sull’identità dell’uomo del quale penso sia importante non dimenticare l’aspetto ludico, sebbene sullo sfondo agisca sempre lo spettro della morte fisica. Uno dei punti che trovo critici nella costruzione dell’esercizio è il dare un carattere di sistematicità alla prima fase di esaurimento delle rappresentazioni dell’oggetto. La sequenza di caratteristiche rischia ogni volta di essere un elemento aleatorio. Ad esempio si può evocare un oggetto, ma­gari lo stesso, ma in una sessione si comincia con la stima qualitativa della massa, in un’altra con la stima quali­tativa del diametro o della lunghezza e questa caratteristica viene presa casualmente. Con ciò avvertivo nei primi approcci di cominciare col piede sbagliato nell’ottica dell’esercizio, perché filtra un automatismo che non viene diretto da un movimento direzionale voluto, ma del solito moto dispersivo che si propagherebbe cosí per tutta la durata. Ciò è come un rumore di fondo che erode efficienza all’esercizio, crea delle finestre vuote e possibili divagazioni, quando invece dovrebbe essere uno sforzo tutto compreso e per quanto possibile privo di infiltrazioni. Corretto? A tal proposito per evitare ho inserito un “supporto” un “rinforzo mnemotecnico”, ma qui potrebbe essermi di aiuto il parere di chi ha approfondito per anni l’esercizio circa l’essere modifica adeguata o meno. Ad ogni modo tale supporto consta in 8 cerchi disposti a cerchio – numero stabilito a priori calcolati per 6-7 min a giro per evitare fastidiosi timer, 10 min. c.a. se poi lo ripercorro in senso antiorario, nei quali partendo dall’alto si collocano nel primo il valore di massa, lunghezza, larghezza, altezza o diametro del­l’oggetto: li penso e imprimo il valore come se il cerchio fosse una lavagna. Poi passo al successivo cerchio quello dei colori: li penso e imprimo i nomi. Poi mano a mano che procedo, quando arrivo a considerare un qualcosa come il processo costruttivo, lo immagino e alla fine estraggo un’immagine rappresentativa che imprimo e gli ordino di fare un solo movimento in modo che sia dinamica (es. bottiglia: la macchina industriale che con uno scatto avvita il tappo). Finito il giro, se si ripercorre la sequenza al contrario, levo l’immagine dal cerchio e ripercorro la dialettica da capo corrispondente alla posizione del cerchio e alla fine ricolloco l’imma­gine stando attento a farle fare il movimento opposto al precedente, onde evitare automatismi. Finita la fase I, “stacco la spina” e contemplo l’immagine ottenuta. Che può essere sfocata, imprecisa ma la prendo come è, e osservata nella sua interezza: talvolta può cadere l’occhio su un particolare, ma se accade, con la stessa calma attenzione ne richiamo l’interezza e proseguo a osservare in modo obiettivo. Cosí ho notato ad oggi apportando queste modifiche rispetto alla tecnica cruda riportata sui manuali i seguenti. Svantaggio: occorre uno sforzo ini­ziale di memorizzazione della sequenza. Vantaggio: una volta eseguito sistematicamente l’esercizio diventa pulito e strutturalmente scorrevole. Si evoca e si parte da subito, senza perdite di tempo. Dopo alcuni test mi è parso filare troppo bene, pertanto mi sorgono dubbi come di tutte le cose che filano subito bene. Magari qui la trappola è il dubbio stesso, ma essendo ancora poco pratico prima di spingere a fondo, accolgo pareri e suggerimenti.

 

Stefano

 

La concentrazione è un lavoro assolutamente individuale, e come tale il modo di svolgerlo è anch’esso del tutto personale. Certo, il supporto illustrato, con gli otto cerchi percorsi in un tempo prestabilito, appare alquanto macchinoso e poco adatto alla semplicità che invece dovrebbe avere un retto percorso, che va dalla iniziale descrizione – che con il tempo si fa rapida ed essenziale – alla contemplazione dell’immagine, escludendo ogni altro pensiero o contenuto. In realtà, pur trattandosi di un esercizio di “pensiero”, la concentrazione è soprattutto un esercizio della “volontà”, che deve allenarsi a tenere a freno la naturale tendenza mentale a divagare e saltare a continue connessioni e automatismi. In ogni caso, si tratta di svolgere l’esercizio con costanza, e con il tempo sarà la stessa disciplina a determinare i necessari aggiustamenti.