Di Padre in Figlio

Considerazioni

Di Padre in Figlio

Nel rileggere l’ultimo scritto per l’Archetipo, intitolato “Karma e Destino”, mi accorgo di non aver sviluppato a sufficienza (neppure quella minima) una parte fondamentale dell’argomento, senza la quale mettersi a parlare di Karma e di destino è come voler trattare di oceani non avendo mai visto il mare.

Non tutti i mali vengono per nuocere. Il presente articolo si baserà quindi su ciò che ho in precedenza trascurato. Del resto, la parte che manca è di per sé cosí importante che alla fine sono contento di non averla inserita nel lavoro pubblicato; avrebbe corso il rischio di restare un semplice corollario tra le tante cose che un argomento come “Karma e Destino” può susci­tare. Mio desiderio è ora centrare quel tema integrandolo, metterne a fuoco l’aspetto piú signifi­cativo e illustrarlo in modo appropriato. Sempre che, ovviamente, ne sia capace. D’altra parte se non ci provo, non lo saprò mai.

Fra le molte attribuzioni e vocazioni riferibili alla figura di Gesú Cristo, ce n’è una in particolare che rispetto alle altre viene presa in considerazione poche volte: quella di “Signore del Karma”. Questo appellativo non risulta dalla teologia ufficiale. È tuttavia presente nel Vangelo di Giovanni, in modo non esplicito; lo si ricava solo mediante una interpretazione che, non provenendo dalla classe di esegeti autorizzati, a qualcuno può apparire una forzatura.

Agnello di DioPossiamo però metterci alla prova: quando, seguendo l’ordi­naria liturgia del messale, ci troviamo di fronte a diciture del tipo: «Agnello di Dio che cancelli i peccati del mondo»; «Agnello di Dio che togli i peccati del mondo»; o «Agnello di Dio che sostieni i peccati del mondo»; ovvero «Agnello di Dio che ti fai carico dei peccati del mondo»; dove va il nostro pensiero? Come ce la caviamo tra i sensi poco convergenti e non colli­manti di “cancellare, togliere, sostenere e farsi carico?”.

Credo che una soluzione capace di chiarire il problema con­sista nella sintesi, ossia prendere per buone le versioni, estra­endo da ognuna la parte che concorra ad una omologazione contestuale. In tal caso è evidente che il concetto di Karma domina nettamente al di sopra di ogni altra strada percorribile.

Gesú il Cristo può cancellare, togliere e sostenere i peccati del mondo, in quanto se ne fa carico. È il primo pensiero in cui le versioni citate trovano l’accordo. Chi veramente si sacrifica, lo fa per redimere in sé quella parte umana cui, nascendo sulla Terra, comunque partecipa. Ma chi lo fa da innocente, con il cuore puro e per spirito di donazione, ingredienti questi di un perfetto amore, dal momento che risulta l’Unico Essere disposto a un siffatto compito (e in tal caso, è bene ricordarlo, rappresenta l’umanità intera) spartisce con ciascuno di noi il valore di una simile redenzione.

Quel che duemila e passa anni or sono è accaduto in cima al Golgotha, è un fatto irripetibile e straordinario di cui soltanto la Scienza dello Spirito ha saputo raccontare adeguatamente in larga parte gli innumerevoli risvolti; di sicuro non sono in grado di aggiungervi nulla, ma forse per l’appunto dallo studio di questa Scienza, e con il graduale formarsi di una rielaborazione imma­ginativa, posso cogliere una particolare qualifica del concetto di Karma, derivante da quel che Rudolf Steiner ci ha fatto conoscere circa quel determinato Evento e sulle relative implicazioni agenti nei tempi a venire.

Che la vita del Cristo convalidi la concezione karmica colta dall’Antroposofia, è un’afferma­zione intercambiabile nel senso filologico; può venir letta invertendo i maiuscoli. L’Antroposofia ha saputo individuare nella figura del Cristo l’elemento spirituale atto a trasformare i processi bio­logici dell’umano in valori viventi, virtualmente tesi al progressivo perfezionamento. Il Mistero del Golgotha non è solo il momento in cui nasce il “cristianesimo”, non è il fatto storico sul quale si può discutere all’infinito; non si esaurisce neppure nella promessa di una mistica resurrezione proiettata nel sensazionalismo dell’impossibile, reggentesi in base ad un mistero della fede.

Rudolf Steiner «Golgotha»

Rudolf Steiner «Golgotha»

Tra le strade che discesero dal Golgotha e si aprirono a raggiera davanti ad una umanità di cui la massima parte non si rendeva conto di essere stata gratificata per i secoli a venire, c’è pure quella che da quel preciso momento in avanti tagliò in due il Cosmo, le Gerarchie Divine, l’Evoluzione della Terra e quella delle creature umane. Con il Calvario, l’intero Universo venne chiamato a deci­dersi: riconoscere nel segno del Cristo il sorgere dell’Io individuale che si assume in toto la responsabilità di compiersi nei cicli della missione terrestre, o permanere all’interno di uno stadio di neces­sità primitive, nel quale la conduzione da fuori non solo è richie­sta ma s’impone come indispensabile, sia che assuma forma di una religiosità cui aderire (in massa), sia l’opposta, di negarla e respin­gerla (in massa).

La prima strada, l’apertura all’Io, è quella del Karma; l’altra è l’in­treccio delle vie del Destino. Per quanto oggi possa apparire sbalorditivo, cosí ebbe inizio il cammino dell’uomo verso la Libertà.

Gesú Cristo ne è l’Artefice; porta nel mondo la voce cui l’epoca alludeva, indicata da profeti, maghi e sapienti, ritenendo il suo inverarsi un evento che non poteva compiersi senza lo sfarzo e la grandiosità di una Apoteosi. Era atteso un Re dei Sacri Testi, una Guida Soprannaturale, un Essere Divino, riconoscibile come tale: arrivò un uomo, apparentemente qualunque, e disse: «Io sono il Figlio di Dio che è in ciascuno di voi».

La Scienza dello Spirito fu già presente con queste parole; ci insegna che nacque l’“Io sono”, l’Io individuale di ogni essere umano; e la presenza del Cristo fu la concreta presenza sulla Terra dell’“Io sono” di tutti gli “Io sono” esistenti e futuri.

Da quel momento in poi, parole come destino, sorte, fato, non funzionano piú. Al pari di indo­vini, pizie e sibille, pèrdono potere e fascinazione. L’avvento dell’Io spazza via ogni retaggio della prima parte dell’evoluzione, che segna la caduta dell’uomo nella materialità piú concreta e totale. Con l’Io (inteso come concepibile, come riferimento unico ed esclusivo di ogni autorità indivi­duale, come potere assoluto della coscienza di ciascun singolo) comincia la seconda parte dell’evo­luzione, quella construens; non è data, come la precedente, attraverso il determinismo di natura, dalla quale il pensiero del destino è potuto scaturire per obbligo quasi automatico. La fase riabi­litativa del post-caduta è la via percorribile se e in quanto gli Io dei singoli uomini vorranno davvero essere Io; se adopereranno l’occasione delle vite incarnate per diventarlo; se riconosce­ranno che, alla fine, la loro vita, tutte le vite passate e vissute, altro senso non avevano se non in vista di quel determinato traguardo.

CrocifissioneGesú Cristo ci ha dato il paradigma del Dio diventato uomo. Attraverso l’Io, l’essere umano può tornare a Dio: allo stadio originario nel quale venne concepita l’anima. La scienza attuale, in genere laica per non dire atea, non sa cosa stia implicitamente ammettendo nell’affermare ipotesi come quella della reversibilità tra energia e materia. Sembrerebbe un’ipotesi audace, una sco­perta incredibile. Eppure la dimostrazione di un tale scambio il Cristo l’ha presentata a tutto il mondo, sfolgorando in croce duemila anni fa; e noi per venti secoli abbiamo continuato a pensare che si trattasse soltanto di uno dei tanti accadimenti di quei tempi cruenti, degno – per carità! – della nostra vene­razione; o che addirittura la vicenda non fosse neppure andata cosí, come, attraverso parecchie contraddizioni e lacune, è stata riportata fino ai nostri giorni.

Quello del Golgotha è un grande Mistero, ma l’anima dell’uomo, che per ignoranza e paura si rifiuta di acco­glierlo, di riconoscere in Esso la propria storia e la propria essenza, è forse un mistero maggiore.

Pure, questo rientra nel conto di una libertà purtrop­po fraintesa. Ma se non fosse fraintendibile, se non fosse omissibile, negabile e rinnegabile ad libitum, che libertà sarebbe?

Perché, allora, Cristo Signore del Karma? Perché l’onere che ciascun uomo si porta appresso, formatosi in millenni e millenni di posizioni personali colpevoli, omissive, carenti e rinunciatarie della vita e dello Spirito, si è trasformato nel frattempo in una sorta di meccanismo ad orologeria, e se non si interviene subito, con estrema urgenza e con forte decisione volitiva, esso renderà impossibile l’ulteriore svolgersi dell’evoluzione umana in senso positivo. Sempre che questa possa ancora interessare la maggioranza dei contemporanei.

Dall’evento del Golgotha, in ciascun uomo è sorto il principio individuale della resurrezione interiore. Nell’anima di ogni essere condotto fin qui da necessità e fato, sorge prepotente la richiesta irrinunciabile di essere un Io; capace di tenere saldamente in mano le briglie della propria biga, e di decidere in completa autonomia come e dove indirizzarla.

Ove riconosca Colui che gli ha dato questa possibilità (scoprire in se stesso la potenza di un tale principio nel controvalore della Passione e Morte); sia capace di andare al di là delle sen­sazioni, dei sentimenti e delle promesse formali, tipiche dei momenti di pathos esaltativo; e, in tale caso, intuisca il Segno del percorso che gli resta da fare: allora la lunga concatenazione di cause-effetti, che hanno caratterizzato gli avvicendamenti esistenziali, dal piú eclatante al piú trascu­rabile, troveranno senso compiuto; si mostreranno trasparenti e di comprensibile lettura.

Nell’ego dominano timore, paura, spesso fobia e la rabbia del subirli, del doverli affrontare; all’Io invece importa soltanto incontrarli per poterli conoscere, forse ri-conoscere e sciogliere il segreto karmico di cosa vogliano da lui: quali e quanti siano i guasti provocati da trascorse insipienze di cui egli voglia rispondere in prima persona, sentendosi pronto a riparare.

In un agire di questo tipo, che è un agire, prima di ogni altra cosa, interiore, cognitivo, coscien­ziale e quindi massimamente pratico, si svela il segreto bilancio del vivere fisico-sensibile, l’inqua­dramento dei conti che non vogliono tornare; oppure, in altro senso, l’agognata quadratura del cerchio: io voglio incontrare solo ciò che può essermi utile per il mio continuo miglioramento, e allora tutti gli eventi che si faranno avanti saranno portatori di una simile possibilità. Non ci saranno contraddizioni.

Ciò che è accaduto mi spetta; ciò che mi spetta accadrà.

Ma è un segreto che può riguardare soltanto un ego diventato Io. Un ego che abbia interio­rizzato la Luce del Logos e ora può permettersi di riverberarla sul suo cammino terrestre.

Questa è la potenzialità individuale che Nostro Signore Gesú Cristo ha voluto donare al­l’uomo morendo, per lui, sulla croce.

Una maturazione umana di questo livello non è ancora espressa e diffusa in senso comples­sivo, ma affiora in progressione geometrica dalla quotidiana caoticità del mondo, dallo scontro ripetuto e violento degli esseri che stentano a uscire dalla girandola brulicante del mare esistenziale sempre piú agitato; dal frammentarsi delle tante composizioni surrealistiche, religiose, politiche, sociali che non riescono piú a reggersi, nonostante giuramenti solenni, promesse rituali e protocolli d’intesa, ancorché firmati con pugno tanto autoritario quanto barbaro.

Le anime umane, inneggianti al modernismo piú spinto, sono ancora attratte dal determinismo di natura e dalle garanzie che questo comportava. Era il mondo del Padre, del Vecchio Testa­mento; bastava seguire i comandamenti e un posto tra gli Angeli del Paradiso era garantito.

Adesso, con l’avvento del Figlio, l’uomo deve fare i conti con se stesso, con la sua coscienza di Io nascente; intuisce in modo ancora vago che se vuol andare avanti deve confermare la poten­zialità d’individuo per le vite future sue e dell’umanità tutta. Il tempo dell’anima di gruppo è finito, anche se le aspre tenzoni sparse per tutto il pianeta denunciano ancora una caparbia resistenza.

 

William Sharp - Il Grande Inquisitore

William Sharp Il Grande Inquisitore

Ma nonostante il relativismo spaziotemporale dei fisici teoretici, indietro non si torna; av­viandosi a diventare signore del proprio karma, l’uomo sa di dover abbandonare il comodo rifugio del destino. Nessun dio gli chiede piú l’obbedienza e la fedeltà; è lo stesso suo karma a chiedergli, invero, d’essere un Io sempre piú completo e, di conseguenza, dar fiducia all’Io altrui come fosse il suo.

 

Cose queste molto piú difficili e complesse dell’obbedienza e della fedeltà. Perché in fondo si tratta di imparare ad amare non già per se stessi ma per quello che ancora non si è, e che domani si potrebbe essere. L’insegnamento tramessoci da Gesú Cristo sembrerebbe chiaro, limpido e definitivo. Ma non può essere chiaro e limpido, quanto meno non ancora, non oggi.

«Tutto ciò che hai detto, parola per parola, è stato messo nelle mani del Pontefice!» sibila costernato il Grande Inqui­sitore. «E allora perché sei tornato?! Perché?!».

È invece incomprensibile perché privo di paragoni; è unico, non ha precedenti, non ha termini di confronto e tale rimarrà a lungo. Senza una corrispondente pietra di riferimento ogni nostra logica vacilla. Gesú Cristo non ammette quantifiche o valutazioni nel pro e nel contro; i giudizi morali Gli sono estra­nei, e l’uomo odierno fatica a pensare qualcosa senza bollarla con il marchio del giudizio. Del resto, bene o male, questo è stato fin qui il linguaggio dell’ego.

Siamo nel XXI secolo; che ce ne facciamo ancora di tale linguaggio?

Mi accorgo di essermi spinto troppo oltre; prima di venir accusato di pindarismo post litteram, farò meglio ad abbassare il volo a livello di pennuto da cortile, con il quale intrattengo maggior dimestichezza. Eppure quel che ho ancora da dire, pur rientrando a pieno diritto nell’ordinario quotidiano, si fonde bene con i discorsi di natura spirituale accennati, se siamo tutti convinti che quanto avviene nel micro è sempre una controprova di quel che trae la sua regola dal macro, nessuno avrà da stupirsene più che tanto.

Molti anni fa, mi sono “stravirato” un ginocchio. Non sono sicuro di usare il verbo giusto, ma la realtà fu quella. Durante un esercizio parayoghico, cercando di roteare il tronco, mentre, ac­cosciato, poggiavo a terra solo la punta del piede destro e l’altra gamba stava invece protesa a squadra. sentíi nel ginocchio impegnato un dolore molto acuto.Distorsione del ginocchio Caddi e per parecchio tempo l’articolazione lesa continuò a farmi male (anche se il dolore non era piú acuto); comunque ne riportai un grosso impe­dimento; camminavo zoppicando, e a volte, anche in fase di riposo, mi pareva di sentir arrivare la fitta iniziale.

Dopo aver esperito per mesi pomate, impiastri, massaggi e trazioni, decisi che era giunta ora dei medici. Poiché il mio caso coinvolgeva anche una polizza contro gli infortuni domestici e sportivi che avevo stipulato, mi rivolsi dunque al medico fiscale, che conoscevo già di vista, ed era all’epo­ca considerato un luminare nel suo campo. «È quanto di meglio puoi trovare in tutta la regione» mi era stato detto da esperti. Per quanto di spirito cosmopolita, mi adattai alla bisogna.

Era altezzoso e imponente, non ti stringeva la mano mentre ti presentavi, né ti guardava in faccia mentre gli parlavi. Non ci feci caso. Forse, pensavo, i luminari sono cosí.

Alla fine della visita, pronunciò la sua sentenza: «Che cosa aspettava? Di restare zoppo per il resto della vita? Di approfittare del contratto assicurativo cercando un’invalidità permanente? Qui bisogna intervenire d’urgenza. O si mette in lista tramite il servizio sanitario, e allora ci vorranno altri mesi e lei non ha piú tempo da perdere… o, in alternativa, venga da me in privato, e nel giro di dieci giorni, ma che dico dieci, forse meno, la opererò io stesso, dato che lei si è reso respon­sabile di aver messo fuori uso il suo LCA (seppi solo dopo, consultando un dizionario medico, che stava parlando del mio Legamento Crociato Anteriore). Bisogna aprire e ricucire; insomma un’artroscopia con ricostruzione autologa».

«Ma io pensavo… credevo… che forse, col tempo… la cosa passasse…» mi scappò detto; venni subito incenerito da uno sguardo che mi trafisse fin nella coscienza. Era la prima volta che mi fissava, ed era per esprimere il suo disgusto per il mio ragionamento di ignorante e per giunta presuntuoso, nel tentativo di sfidare impunemente la scienza medica.

«Giovanotto – mi disse (in effetti all’epoca ero poco piú di un ragazzone cresciuto) – secondo lei un rubinetto che perde, cosa farà col passar del tempo? Si rovinerà vieppiú o si riparerà da solo? Ci rifletta sopra».

Era l’unica cosa da fare. Ci riflettei e cambiai strada. Qualcuno mi aveva parlato di un mas­saggiatore sportivo, ormai in età, che pur essendo cieco dalla nascita, aveva servito egregiamente come fisioterapista alcune squadre calcistiche cittadine, facendosi conoscere e ben valere per le sue doti manuali, ed anche per la sua saggezza.

Andai da lui e gli raccontai tutto. Ascoltava in silenzio, sorrideva divertito mentre mi percorreva l’intera gamba lesa, interrogandola con le sue dita agili ed esperte. Quando ebbe finito, si sedette sul lettino, al mio fianco, si accese una sigaretta, e mi parlò: «No, sei a posto; non ti occorre l’ope­razione. Il legamento è leso, ma non rotto; l’hai stirato con una mossa sbagliata, ma potrai recuperarlo, perciò dovrai metterti al lavoro subito».

«E come?» gli chiesi trepidante.

mutanda«Sai che facevano i nostri nonni quando si allentava l’elastico delle mutande? [Nel nostro dialetto il verbo allentare viene espresso con il termine “slambricciàr”, cosa dal suono orrendo ma piena di misteriose con­sonanze esplicative]. Erano consapevoli di doverlo ri­tendere, di riportarlo alla giusta tensione per farlo lavorare di nuovo. E come facevano? Un nodo di qua e un nodo di là, o anche due nodi, ed era fatta; l’elastico era di nuovo pronto al suo compito».

Conscio di cadere nell’ovvio, non mi trattenni dal replicare: «Ma la gamba non è una mutanda!».

Mi sorrise con cordiale indulgenza: «La gamba no, ma il legamento sí. Come farai i nodi? Semplice: do­vrai esercitarti e rinforzare i due muscoli che sono preposti ai legamenti del ginocchio; quello femorale e quello del polpaccio; con uno sforzo graduale e progressivo i due muscoli acquisteranno massa e tireranno a sé, uno da sopra e l’altro da sotto, quel legamento che hai allentato con il tuo improvvisato asana. Comincia subito e senza fretta. Per i primi tempi arriva fin dove non senti dolore; se lo provi, smetti, non andare avanti. Siediti e aspetta che passi; poi riprendi».

Feci cosí due volte al giorno per quasi sei mesi. Risultato: mi ristabilii completamente e ricavai anche due minipillole di saggezza. Il corpo umano, ancorché danneggiato, non è un rubinetto rotto, e la diagnostica di un insigne luminare può talvolta permanere nel limbo di uno splendido autoisolamento, al punto di credersi in avanscoperta mentre invece si è perduta nelle retrovie.

Al pari del combattente nipponico, sopravvissuto nelle boscaglie dell’Indocina, che continuò il suo personale stato di belligeranza quando la guerra era finita da decenni, anche la scienza medica può cadere nell’errore di rappresentarsi secondo lo schema mentale del “So tutto; ho capito tutto; tratterò ogni singolo caso inquadrandolo nella specifica fattispecie prevista a priori”. Non ci si rende piú conto che la realtà attorno a noi è cambiata.

Il chiroterapista, nonostante l’handicap della sua menomazione visiva, aveva colto la singo­larità del mio caso, e aveva escogitato uno specifico rimedio, nato dalla pratica e dal buon senso, efficace anche perché squisitamente semplice; l’altro, il luminare, non era riuscito a vedere in me l’individuo nella sua interezza; aveva percepito il guasto al ginocchio e l’aveva fatto direttamente rientrare nel quadro clinico generale valevole per tutte le ginocchia di questo mondo.

È la legge del Manuale, del Regolamento; la legge dei Comandamenti. Gesú non è salito sulla croce per rinnovare le norme del Passato, e nemmeno per affermarne l’anacronismo. Salendo sulla croce svelava al mondo che una nuova epoca era arrivata, e che l’anima del­l’uomo era in grado di rendersene conto. Da quel momento, poteva uscire dal cerchio tribale del sangue, della razza, delle credenze e delle convenienze chiostrali e parrocchiesche. Il mondo del Padre non finiva per il fatto che ora il Figlio insegnava all’umanità un nuovo percorso, anzi! Dal Suo amore eterno ed infinito, il Padre aveva mandato il Figlio, proprio per annunciare agli uomini che la prima fase evolutiva era compiuta, che l’amore fedele, l’amore servente, l’amore devozionale di gruppo, poteva venir sostituito dall’amore singolo, individuale, di ogni anima capace d’incontrare, ascoltare e capire il mistero dell’Altro, chiunque esso sia e in qualsiasi forma gli si presenti; intuisce che in quel mistero c’è il segreto che la riguarda da vicino: il segreto dell’“Io sono”; che per essere veramente, è sempre l’“Io sono” dell’Altro.

L’anima era vissuta nelle collettività, nell’esperienze di gruppo; un periodo necessario e propedeutico. Ma le cose non restano uguali per sempre; se l’evoluzione ha da compiersi allora le cose devono cambiare e l’uomo è chiamato ogni volta non solo a testimoniare il cam­biamento, ma anche a capirlo e a gestirlo con forze proprie. L’avvento del Cristo, del Signore del Karma, dell’“Io sono” che in sé completa e dà senso a tutti gli “Io sono” individuali, prevede l’apertura dei limiti che fin qui racchiusero le vite delle anime, portandole al punto da dove, con la coscienza destatasi all’autocoscienza, avrebbero potuto compiere il passo decisivo verso l’Io individuale.

Di Padre in FiglioQuante volte nella Scienza dello Spirito abbiamo letto, o meditato questa frase: «L’insieme di tutti gli “Io sono” è il Corpo Mistico del Cristo»? Cosa potrebbe voler dire se non che la centri­peticità delle forze generanti la Caduta delle anime nel materialismo ha completato la sua funzione, e adesso, arrivati al giro di boa, il Figlio di Dio spalanca la strada alle forze centri­fughe, le forze preposte alla seconda parte dell’evoluzione: l’amore oltre se stessi, la libertà oltre se stessi, l’intui­zione dell’Io altrui oltre se stessi; esse irraggiano sempre verso fuori, mai ri­convergono a sé.

Tali forze tuttavia devono venir ge­nerate dall’uomo sulla Terra; non ver­ranno dall’intervento divino; siamo stati abituati per millenni a considerare la Grazia e la Provvidenza come fossero fenomeni collaterali a quelli della na­tura, da invocare e attendere religiosa­mente in ginocchio; ora è finita, la lun­ga passiva attesa è finita: il Cristo ci porta la vera rivoluzione, quella interiore che ognuno deve compiere nella sua anima, per scoprire dentro di sé la nascita dell’“Io sono” ed accoglierlo in quanto Signore del Karma individuale.

La parola Signore potrebbe trarci tuttora in inganno, in quanto il signore, nella corrente logica del mondo, è colui che esercita una signoria sopra qualcuno o qualche cosa. Per affer­rare il senso del Signore del karma è necessario percorrere un’altra strada; durante le loro incarnazioni terrestri le anime si evolvono: possono dubitare, possono non crederci, ma si evolvono ugualmente a livelli diversi e con modalità differenziate.

Dallo stadio primitivo di un conoscere puramente materiale (sensazioni, passioni, istinti) si passa ad uno piú elaborato (sentimenti, affetti, ideali) per giungere ad un grado di consapevo­lezza incentrato sull’autocoscienza; qui viene confermata la capacità di rispondere ad una richiesta elevata di responsabilità sulla vita, su se stessi e sul prossimo; comincia la via di­retta all’“Io sono”.

A ciascuno dei descritti passaggi, per quanto abbozzati in modo sintetico e approssimativo, corrispondono concezioni del tutto diverse tra loro.

Nel periodo del primo formarsi di una coscienza individuale, vale il Mondo del Dio Padre, la Legge del Vecchio Testamento; valgono i codici di Comandi e Punizioni per i trasgressori. Mentre con l’avvio dell’autocoscienza, che il Cristo conferisce all’umanità intera, nata e nascitura, sorge in ciascun uomo la scintilla dell’Io. Quel che dopo ognuno vorrà farne, fa parte della sua biografia, ma certamente la voce “destino” decade di significato; al suo posto, s’impone l’intuizione del Karma. Si potrà magari esprimerla con altre parole o altri suoni, ma il fondamento di base è che l’anima comprende il segreto del suo rapporto con il mondo: capisce che le cose non accadono tanto per capitare, gli eventi non vengono sorteggiati da una lotteria extraterrestre, senza un preciso, determinato riferimento al soggetto in ascolto. Ora egli ha la facoltà di trarre da se stesso il senso delle cose, degli eventi e di trovare in essi – sempre e comunque – la corrispondenza vincente a scioglierli dagli intrecci nei quali gli si presenta(ro)no avviluppati.

L’Io, il quid divino che ogni anima ha portato con sé dai mondi spirituali, penetrando il regno della materia, è stato anelato, agognato e invocato, in tutte le epoche, secondo le modalità di volta in volta concepibili; nella prima parte (caduta e discesa nel materialismo) le anime Gli si rivolsero nella Sua presupposta trascendenza; per cui Lo volevano con le medesime forze che lo re­spingevano. Dalla venuta del Cristo, dal Calvario, dalla Svolta dei Tempi, questo Io viene colto nella Sua immanenza; le anime possono dirigersi a Lui in quanto splende dal loro interno, e con forze in cui ora la volontà d’identificazione sono piú potenti di quelle dell’eventuale rifiuto.

Parabole

Con una chiave di lettura di questo genere, è interessante riaccostare i Sinottici e ricapitolare le parabole dei Talenti, della Pecorella Smarrita e del Figliol Prodigo (o, sottolineo, del Padre Mise­ricordioso); in ciascuna di queste è ben percepibile, di là delle versioni tradizionali, l’amore e la gioia del Sovrasensibile per chi sulla terra abbia mostrato il coraggio di non seguire, almeno una volta, le regole, le norme e le leggi dell’abituale conformismo. Naturalmente, a noi sono state tramandate soltanto interpretazioni che, in sostanza, tengono protetto, celato sotto la cappa pesante e asfittica del moralismo veterotestamentario, l’esultanza celeste per quelle che in definitiva sono sempre passate per pesanti manchevolezze di casa nostra.

Tuttavia basta cercare le nuove contrapposizioni esegetiche a questi tre racconti, per capire che la figura del Figlio è stimolo e oggetto di ulteriore ricerca; e non fuori di noi. L’azione precisa è quella dell’interiorizzare. Ma è un’azione che senza l’aiuto della Scienza dello Spirito sarebbe ancora rimasta nell’inconcepibile.

L’interiorizzazione del Cristo è la Via che, in questa epoca, segna l’avvio della coscienza incontro al proprio Io spirituale, cosí come la conoscenza del Karma spiana la strada di ogni individuo verso la sua Libertà.

È un pensiero cui tengo molto. Rileva un particolare aspetto, che io avverto determinante, del rapporto tra il Padre e il Figlio, tra il Cristo e l’Io umano, da una parte e dall’altra, a partire dalla Svolta dei Tempi, tra il Karma e la Libertà di ogni singolo uomo.

Ma non chiedetemi di spiegarlo: sarebbe inutile. Non sono le spiegazioni a mancare.

 

Angelo Lombroni