Per numerosi anni Massimo Scaligero fu direttore della prestigiosa rivista «East and West» che affrontava argomenti legati alle filosofie orientali e alle tradizioni occidentali, un faro del Sapere occidentale alimentato da cenacoli operativi ed eventi culturali di grande valore iniziatico. Durante questa esperienza esaltante, Scaligero ebbe modo di accedere a fonti originali e recensire numerosi testi scritti dai piú famosi orientalisti e studiosi delle differenti tradizioni riuscendo a creare una sintesi personale nel solco di entrambe le tradizioni East-Oriente e West-Occidente.
Dai suoi scritti personali risulta inoltre evidente l’importanza e la congiunzione, che a Lui traspare chiara, tra l’esperienza folgorante del Vajrayāna (Sentiero del Diamante-Folgore) e quella che identifica come la via del Graal, ovvero una sintesi tra vocazione dei Fedeli d’Amore, missione dei Templari, e Fraternitas dei Rosacroce. Ne La Via della Volontà Solare e Tecniche di Concentrazione Interiore, Scaligero giunge a sostenere che il Sentiero del Diamante-Folgore è accessibile solo allo sperimentatore che arriva a padroneggiare le forze eterico-astrali impegnate normalmente nella formazione del “Concetto”, forma archetipica sul piano astrale della realtà oggettiva.
Il Vajrayāna
Ma procediamo col fissare alcuni concetti fondamentali. “Vajra” in sanscrito ha due significati sovrapposti, infatti significa Diamante e anche Folgore, “Yāna” invece significa Sentiero. “Vajrayāna” significa “Sentiero Adamantino”, o via del Diamante-Folgore, nel senso di veicolo indistruttibile e insuperabile per raggiungere l’Illuminazione.
Nella mitologia induista il Vajra, che rappresenta il fenomeno naturale del fulmine, viene impugnato come arma (la piú potente del mondo) da Indra, re degli Dei. Ciò ricorda, per simpatia allegorica, l’arma di Zeus, re del Pantheon mitologico ellenico.
Nel Buddhismo si trasforma come concetto correlato di Vuoto (Sūnya), inteso come relazione posta in essere tra vuoto metafisico (stadio finale dell’Illuminazione) e corpo alchemico indistruttibile (come il diamante) prerogativa dell’asceta Vajrayāna, veicolo questo necessario per raggiungere appunto lo stato di Illuminazione.
Questo concetto viene ad assumere un carattere cosí centrale nella speculazione buddhista, tanto da individuare nel Vajrayāna la terza grande corrente del Veicolo, per alcuni studiosi la piú importante, dopo lo Hīnayāna (Piccolo Veicolo) e il Mahāyāna (Grande Veicolo).
Storicamente il Vajrayāna è il punto di arrivo di una corrente filosofica e religiosa che sorge all’interno dell’induismo tantrico del nord dell’India verso il VI secolo, e si sviluppa poi nel buddhismo Mahāyāna, in Tibet, a partire dall’VIII secolo. Si presenta come «Via della forza che conduce al dominio del bene e del male».
La meditazione tantrica buddhista nelle sue numerosissime varianti ha tre caratteristiche fisse che sono Mudra, Mantra e Visualizzazione. La Mudra, o gesto rituale, integra l’aspetto del Corpo nella meditazione; il Mantra integra l’aspetto della Voce o Energia; la Visualizzazione integra la Mente, assorbendola. Cosí, la meditazione tantrica è una specie di laboratorio per integrare e armonizzare i tre aspetti dell’esistenza individuale, e divinizzarli.
La Visualizzazione concerne sempre il particolare mandala di una Divinità, una volta ricevutane la specifica iniziazione da un Maestro qualificato a darla, che come si è detto conferisce l’energia potenziante legata alla trasmissione, o ‘connette’ l’aspirante con tale energia.
Obiettivo del Vajrayāna è quindi l’Illuminazione attraverso specifici rituali, simboli, mudhra, mantra, mandala (diagrammi mistici), esercizi fisici diretti alla spiritualizzazione del corpo e della mente del praticante. Il principio sotteso è fondamentalmente di tipo tantrico e si esprime nel fatto che tutto può essere un mezzo, purché se ne fruisca nel corretto modo e senza ingenerare conseguenze negative. Per l’asceta del diamante-folgore il mondo non è piú considerato come illusione (Māyā) ma come potenza (Shakti), e attraverso questa potenza, di cui si riveste l’asceta, è possibile raggiungere l’Illuminazione. In tutte le scuole del Vajrayāna si parte sempre da alcune riflessioni tipiche del Mahāyāna e comuni ai suoi Sutra (aforismi) in generale, prime fra tutte le famose Quattro Consapevolezze riassumibili in: la preziosità della vita umana, il suo carattere impermanente e l’importanza di farne buon uso, l’inevitabilità delle conseguenze delle proprie azioni e il potere del karma di causare infinita sofferenza.
Ugualmente importante è la meditazione sui Quattro Immensurabili: Benevolenza, Gioia, Equanimità, Compassione. Subito dopo, o insieme a questa fase di rieducazione della mente e del suo modo di vedere, si applicano le prime tecniche meditative che hanno come scopo quello di far sí che lo studente impari a entrare in uno stato calmo e percettivo. Queste tecniche comprendono spesso fissità mentale con o senza supporto ed esercizi di respirazione e asana (posture) per superare certi ostacoli del corpo e dell’energia, come torpore o agitazione; il tutto quasi sempre unito a recitazione e ripetizioni (Japa) di canti. In questa fase il praticante del Vajrayāna procede con l’istallazione nel proprio corpo di alcune divinità (Deva o Dakini) intese come supporti alla meditazione e inizia la coltivazione del Bodhicitta, o aspirazione altruistica all’Illuminazione, tipica del Mahāyāna.
A commento di quanto scritto, dobbiamo dire che Massimo Scaligero indica in queste tecniche una via nata per caratteristiche fisiche e animiche molto diverse dall’uomo dei nostri tempi. In La Via della Volontà Solare egli scrive infatti: «La Via dell’Oriente è essenzialmente soteriologica, postula la liberazione dal sensibile. La Via Iniziatica dei nuovi tempi è qualcosa di nettamente diverso, esigendo la resurrezione dello spirituale dal sensibile: in quanto si sia radicalmente penetrati nel sensibile: sorge in Occidente ed ha come forza propulsiva il principio individuale della libertà. La liberazione dal mondo in quanto māyā può essere da prima solo momento conoscitivo, o intuizione, preludente la realizzazione del mondo come categoria della libertà».
Tecniche di respiro
Rispetto agli obiettivi della cosiddetta respirazione embrionale taoista, finalizzati alla produzione dell’elisir di lunga vita, le tecniche tantriche buddhiste e induiste sono finalizzate alla ricerca dell’Illuminazione. Nel testo del buddismo tantrico iniziatico Sekoddeśatippani composto da 174 aforismi (Sutra), vengono proposte per il novizio le sette, le tre e poi l’ultima Iniziazione somma, che fanno uso di mandala e che si attuano in simpatia con i ritmi dello Zodiaco e del sistema Sole-Luna. È dapprima necessario procedere con rituale di purificazione associato ai quattro+uno elementi, incluso l’etere. Proprio su questo ultimo elemento si innesta una variante di eterizzazione del respiro utilizzata non solo per la purificazione del corpo ma anche come veicolo dell’Iniziazione somma, che consiste nella condizione ascetica del cosidetto samādhi Vajradhara. Le tecniche iniziatiche per quanto concerne il respiro, fanno esplicito riferimento al controllo della ritenzione ed estinzione del soffio rapportata ai due canali elicoidali ida e pingala che sfociano nelle due narici dell’asceta secondo i princípi della meditazione tantrica.
Anche a proposito delle tecniche di respiro, giova leggere quanto afferma Massimo Scaligero in Vie della Tradizione (Vol. V, N. 18, 1975): «È importante comprendere una distinzione radicale di metodo. Mentre l’asceta antico muoveva dal sistema sanguigno per agire sul sistema nervoso, mediante il respiro, l’asceta di questo tempo muove necessariamente dal sistema nervoso, ma non può operare sul sangue mediante il respiro, bensí mediante il pensiero svincolato dal sistema nervoso, cioè affrancato dalla natura animale. Normalmente ogni attitudine psichica o psicologica, o pseudoyoghica, oggi tende a revivificare il dominio antico del sangue sul sistema nervoso, cioè ad alimentare il mondo delle brame e degli istinti contro l’Io. È importante per l’asceta di questo tempo riconoscere la via eterica verso il sangue come la Via del Pensiero liberato, che restituisce l’unità degli èteri disintegrati. Solo possedendo la Via del Pensiero, egli può ritrovare la via metafisica del respiro».
Il vuoto adamantino
Per poter raggiungere l’essenza del vuoto (Sūnya) adamantino, l’immagine del fulmine che cadendo crea una condizione di vuoto attorno a sé spostando l’aria ionizzata o eterizzata, risulta essere ben posta. In effetti, la quiete del fondamento si raggiunge quando si siano superate tutte le barriere della dissipazione egoica, e quindi attraverso un lavoro di autodeterminazione oltre le barriere dell’ego dettate dalle necessità, sino all’inversione degli stessi processi fisiologici come il respiro. Per inversione del respiro intendiamo la possibilità di trattenere anidride carbonica ed emettere ossigeno come i vegetali. Nel Vajrayāna si parla di Iniziazione dell’aria, abbiamo osservato come la tendenza al vuoto è intesa come tendenza all’estinzione dell’ego: l’estinzione dell’ego significa estinzione mentale da ogni forma di processo di brama, che ha come ultimo strato risolvibile la dipendenza dal respiro fisico. L’arresto del respiro fisico-polmonare corrisponde all’attivazione di una forma sovrasensibile di respiro che ha come elemento dicotomico tra i due momenti di inspiro ed espiro non piú l’aria ma una sostanza eterico-pranica, e come veicolo non piú l’apparato pneumatico ma il pensiero volitivo che impone il moto metafisico a tale sostanza e che viene chiamata da Massimo Scaligero “Cibo del Graal”.
Kether