I tempi erano ravvolti di tenebra. Il cielo era vuoto. I popoli erravano stranamente agitati o rimanevano immobili, istupiditi. Nazioni intere sparivano; altre levavano il capo quasi a vederle morire. S’udiva nel mondo un sordo rumore come di dissolvimento. Tutto, cielo e terra, tremava. L’uomo appariva deforme. Collocato fra due Infiniti, non aveva coscienza dell’uno, né dell’altro; né dei giorni passati, né dei futuri. Ogni credenza era morta: morta la credenza negli Dei, morta la credenza nella repubblica. Non v’era società; ma un potere che annegava nel sangue o si consumava nel vizio e nelle turpitudini; un Senato, misera parodia della maestà del passato, che votava oro e statue al tiranno; pretoriani che sprezzavano l’uno e uccidevano l’altro; denunziatori, sofisti e una moltitudine schiava plaudente. Non viveva piú virtú di princípi, ma soltanto un calcolo d’interessi contendenti fra loro.
La Patria era spenta. La solenne voce di Bruto aveva gridato al mondo sulla sua tomba che la virtú era un nome, non altro. E i buoni s’allontanavano da quel mondo per non contaminarvi l’anima e l’intelletto. Nerva s’asteneva da ogni alimento. Trasca libava col proprio sangue a Giove Liberatore. L’anima s’era dileguata, regnavano i sensi. Il popolo chiedeva pane e giuochi nel Circo. La filosofia era fatta scetticismo, epicureismo, arguzia e parole. La poesia era satira. Di tempo in tempo l’uomo s’atterriva della propria solitudine e s’arretrava dal deserto. Allora s’udivano, la notte, voci di paura su per le vie. Allora i cittadini, quasi frenetici, abbracciavano le nude, fredde statue degli Dei venerati un tempo, imploravano da esse una scintilla di vita morale, un raggio di fede, qualche illusione, e partivano inesauditi colla disperazione nel core, colla bestemmia sul labbro. Tali erano quei tempi che somigliano ai nostri.
E nondimeno, non era quella l’agonia del mondo: era la fine di una evoluzione del mondo giunta all’ultima sua fase. Una grande epoca era consunta e si dileguava per lasciar libero il varco a un’altra, della quale s’udivano le prime voci nel settentrione e che non aspettava se non l’iniziatore per farsi visibile. Ei giunse. Era l’anima piú piena d’amore, piú santamente virtuosa, piú ispirata da Dio e dall’Avvenire che gli uomini abbiano salutata su questa terra: Gesú.
Ei s’incurvò verso il mondo incadaverito e gli mormorò una parola di fede. Su quel fango che non serbava piú d’uomo se non l’aspetto ed i moti, Ei proferí alcune parole ignote fino a quel giorno: amore, sacrificio, origine celeste. E il cadavere si levò. E una nuova vita si diffuse per entro a quel fango che la Filosofia aveva tentato invano di rianimare. Da quel fango escí l’Uomo, immagine e precursore di Dio. Gesú moriva. Ei non aveva, come disse Lamenais, chiesto agli uomini per salvarli se non una croce e la morte su quella. Ma prima di morire Egli annunziava al popolo la buona novella; a quei che gli chiedevano dond’Ei l’avesse, Egli rispondeva: da Dio padre; e dall’alto di quella Croce Ei l’invocava due volte. Però dall’alto di quella Croce incominciava per Lui la vittoria: e tuttavia dura.
Giuseppe Mazzini
Rudolf Steiner rimanda costantemente nella sua Opera alla missione di Arcangelo di popolo e anima di popolo. Dunque al consesso del Karma di popolo. Non è assolutamente nostra intenzione prendere una posizione di natura politica o compiere una dissertazione storica. Il concetto che si tenta di manifestare vorrebbe avere valore esclusivamente pratico.
La missione dell’Arcangelo del popolo italiano, che inizia a palpitare nella piú nuda immanenza in corrispondenza della nuova Rivelazione degli spiriti della luce, degli spiriti della personalità, a cui si oppongono, con somma virulenza, gli spiriti delle tenebre, è piú viva che mai a differenza di quella di altri arcangeli di popolo, che sembrano essersi ritirati dalla sfera immanente, in seguito all’avanzata ipermaterialistica guidata dalle oligarchie del capitalismo globale. Riferirsi, con devozione e dedizione, all’Arcangelo del popolo italiano significa anche, e forse soprattutto, comprendere la sorprendente attualità della visione dell’uomo e dell’universo, propria di Giuseppe Mazzini.
La concezione mazziniana dell’Apostolato popolare nasce dall’esperienza che l’idea di Nazione e l’identità nazionale poggiano su un fondamento metafisico ma immanente al cuore, al Sentire umano; l’idea di Dio, come l’immagine dell’Angelo, sono gli esempi di Mazzini per farci capire che la Nazione e il Popolo sono realtà mistico-spirituali, in primo luogo, poi potenzialmente conformabili in un preciso modello terrestre, quello dello Stato nazionalpopolare.
Per il Nostro, le Nazioni possono però nascere solo nel fuoco della lotta, del sacrificio: non vi è altro modello al riguardo indicato ai popoli volonterosi nell’affrancarsi. L’azione sacra, la volontà di Dio sulla terra, si concreta allorquando i popoli che si temprano nel conflitto, sappiano farsi Nazione. Solo cosí l’idea divina si può fare coscienza popolare nel divenire immanente della storia. In questo senso, Mazzini rielabora e supera la dimensione cristiana tradizionale. Il cristianesimo storico compí una rivoluzione basandosi sui diritti individuali, sul valore universale della persona umana. Ma il messaggio implicito nell’Impulso sociale cristico rimase lettera morta nel cristianesimo tradizionale; i diritti dell’individuo, per essere realmente tali, avrebbero dovuto trasformarsi in Fraternità sociale mediante la prassi della “Associazione” e del Corporativismo. L’impulso evangelico originario corrisponde infatti al parto dell’Epoca della fratellanza. Il limite sociale cristiano è perciò ben esemplificato dalla Rivoluzione francese; i motivi dei diritti individuali aprono sí il campo a una nuova prospettiva strategica, le rivoluzioni (dell’89 e del ’93) sono sí l’archetipo della “rivoluzione cristiana”, dice Mazzini, come sosteneva il Victor Hugo de Il Novantatré; ma anche le correnti piú sensibili al superamento del mero contrattualismo borghese, come quella che si afferma tramite i princípi costituzionali della Convenzione nazionale, nel 1793, per quanto coraggiosamente la sfiori, non riesce a penetrare la quintessenza mistico-spirituale della Questione sociale dei nuovi tempi. Per cui all’iniziativa rivoluzionaria francese, nella visione “profetica” e ierocratica mazziniana, si andrà sostituendo la concreta visione della missione italiana, fondata sul Primato culturale e spirituale della “terza Roma”: la Roma del popolo. Scrive Mazzini (da «La Roma del Popolo», N° 15, 7 luglio 1871), chiarendo definitivamente che solo in Italia, non nella Francia illuminista e borghese, può realizzarsi il “Programma dell’Epoca nuova”. «Le idee governano il mondo e i suoi eventi. Una Rivoluzione è il passaggio d’una idea dalla teoria alla pratica. Gli interessi materiali non hanno mai determinato né determineranno mai …una Rivoluzione. La miseria, la condizione rovinosa delle finanze, i tributi comunque gravi o ineguali possono suscitare sommosse piú o meno minacciose e violente; non altro …Voltaire fu il maestro della borghesia e la di lui influenza campeggiò nel periodo anteriore alla Convenzione (di Robespierre) …Non vide come norma che i diritti dell’individuo. E come tutti quelli che muovono dalla sola idea del diritto, fu trascinato inevitabilmente a dar predominio a diritti già esistenti…».
La missione italiana diviene, nella dottrina politica mazziniana, una questione sociale e al tempo stesso “religiosa”. L’Arcangelo d’Italia, per poter vivere nella materia e nella mineralità, doveva usufruire di Credenti; quei credenti che avevano il compito di diffondere il vangelo della nazionalità nel popolo. Gli Apostoli del popolo, che veicolavano la missione italiana nel mondo, non erano semplici militanti politici ma, perciò, incarnazioni viventi del messaggio e della missione dell’Arcangelo.
Dunque loro compito era mettere il popolo al contatto con la Verità; muoversi tra il popolo pronti al martirio e al sacrificio; il popolo italiano doveva essere conquistato dalla Dedizione che tramite questi si manifestava, poiché «il Popolo non è mai per coloro che stima deboli e da poco. Esso ama e segue i forti, e coi forti combatte. E i forti son quelli che, in ogni circostanza, ad ogni momento, son presti a far testimonio, colla parola e colle opere, di tutta intera la fede dell’anima loro»: cosí scriveva Mazzini.
Il suo sentirsi continuamente tradito, spiato, sorvegliato e assediato, dai nemici politici e dai potenti di tutto il continente ma non abbastanza ascoltato dagli stessi “amici”, che disattendendo il verbo mazziniano, unificarono sí la Penisola ma con un metodo e una strategia ben lontane dal misticismo politico e dal repubblicanesimo demofilista (ben piú che astrattamente “democratico”) di Mazzini, portava inevitabilmente il Nostro a identificare la sua figura di patriota italiano tradito con l’immagine di una figura storico-soteriologica, un “eroe” cosmico-spirituale simile al Cristo abbandonato da tutti nel Getsemani. Come specifica Alessandro Luzio, Mazzini considerò, sin dalla giovinezza, politicamente nocivi ed erronei sia lo scientismo positivistico massonico sia il volgare anti-clericalismo. Mazzini, non a caso, a dispetto di una malevola infondata propaganda, non fu mai massone, sempre si rifiutò di affiliarsi in massoneria.
La sua elevata solitudine di prospettiva e immaginazione mitico-sociale lo spingeva ad operare indefesso quando il buio e la tenebra lo assediavano e i demoni tentavano di deformarne la visione oggettiva del divenire. Archetipi concettuali divini sono dunque, per Mazzini, i Popoli Nazione della terra. La concezione sociale mazziniana si manifesta come un fulgureo respiro agonico, un perenne respiro delle vette, una cosciente violazione delle norme giuridiche e delle leggi naturali consolidate, che si fa storia e azione civile, politica. Un miracolo decisionistico, uno stato di Eccezione che tende a divenire quotidianità politica.
Non a caso, Rudolf Steiner ha sottolineato come l’anima di popolo italiano viva nella sfera del respiro collegato alla luce. Laddove l’Io tenda a svincolarsi, mediante una pura intellettualità che diviene immaginazione creatrice, dall’astrale eccessivamente sensorializzato ed eccessivamente senziente, si avrà il libero fluire dell’Io come forza di puro Coraggio sociale. Si avrà, in sostanza, l’immaginazione sociale italiana, mazziniana.
Sappiamo che Mazzini dedicò le forze tutte del Pensare, Sentire, Volere alla nascita di una Repubblica sociale italiana, rispetto alla quale la Repubblica romana del 1849 avrebbe dovuto operare da apripista; una Repubblica che superasse e meglio definisse gli impulsi che le anime di popolo anglosassone (con Cromwell), tedesca (con Fichte) e francese (con Robespierre) avevano saputo incarnare nella storia, pur con le loro scissioni unilaterali, con le stesse degenerazioni violente e genocide.
Purtroppo, come già accennato, il “Risorgimento” non andrà affatto in tale direzione. Cosí, dopo la sconfitta della Repubblica romana (1849), si è tentati quasi generalmente di considerare Mazzini un “fallito di successo”. In realtà egli, con il suo disumano Sacrificio, non solo fondò una Nazione (Garibaldi, Mameli, Pisacane, ad esempio, non sarebbero politicamente esistiti senza Mazzini), ma portò sul piano dell’immanenza storico-politica una Immaginazione mitica appartenente a un grado di Forma creatrice, ben piú particolare e misteriosa delle altre nazioni europee: l’Italia.
Una Nazione che a pochi decenni dalla sua morte, nonostante evidenti limiti e deficienze strategiche, riuscirà a possedere, sino alla Catastrofe del 1992-1993 (su cui non possiamo ora indagare), una centralità strategica mondiale. Nel ’900 stesso, se si eccettua il tentativo rivoluzionario nazionalbolscevico della “Terza Roma” russa, su cui non possiamo esprimere in questa sede un compiuto giudizio politico, le uniche idee sociali nuove verranno dall’Italia: prima con il Corporativismo, poi con la Socializzazione, infine, in sostanziale continuità strategica con questi, con il Neo-Volontarismo sociale degli anni ’60, in antagonismo economico e con il Keynesismo e con il liberismo. Difficile cosí non riconoscere una sostanza mazziniana che costantemente riaffiora nel Karma del Popolo italiano.
L’influenza mazziniana, peraltro, continuerà a manifestarsi come luce-sole originaria dell’Anima di popolo tra quanti, tramite quanti, hanno voluto e vorranno donare la vita tutta all’Arcangelo d’Italia, affinché irradi come respiro sociale universale.
Vincenzo Borelli