Malgrado l’adolescenza, si andava formando
in me, per intuizione spontanea, il quadro di un’impresa interiore necessaria
all’uomo moderno d’Occidente. Sentivo il pericolo del deterioramento di
un simile uomo, ove non riconoscesse in sé la vocazione della propria
impresa. Non era tanto la lettura meditata dell’aureo libro del Feuchtersleben
e della Nascita della Tragedia di Nietzsche, a sollecitare in me
tale quadro, quanto l’immediato avvertire nella natura un elemento originario
della vita interiore, propria all’uomo e al mondo, che sentivo sfuggire
alla Scienza e alla Cultura.
Ancora non studiavo sistematicamente la filosofia,
ma avevo un rapporto immediato con il reale, che mi rendeva insofferente
di ogni dialettica che non recasse l’eco dell’elemento originario della
natura. Questa insofferenza mi condusse spesso a situazioni difficili,
che resero drammatico in qualche modo il mio terzo settennio.
A quindici anni ebbi una singolare esperienza
della dimensione eterica, trovandomi in Sardegna. Mi ero recato per una
breve gita a Tempio Pausania ed essendo rimasto senza denaro, mi risolsi
a percorrere a piedi i 45 e piú chilometri della strada verso Palau,
per recarmi a uno “stazzo” in vetta a un colle detto Barrabisa, al cospetto
del mare, presso una patriarcale famiglia di amici pastori, il cui capo
era una sorta di gigante tranquillo e generoso, Ciboddo, detto Bioddo,
del quale ero ospite. I 45 chilometri dovevano divenire piú di 50
allorché, lasciata la strada maestra qualche chilometro prima di
Palau e infilato il sentiero per Barrabisa, mi smarrii nella boscaglia:
era caduta la notte e il percorso divenuto irriconoscibile.
Ero partito da Tempio nelle prime ore del
pomeriggio, avendo le ali ai piedi: volevo la sera essere a ogni costo
a Barrabisa, perché ero intellettualmente legato a una ragazza -
con la quale avevo un colloquio puro e poetico - della famiglia Ciboddo.
Percorsi i primi chilometri di corsa, trotterellando, essendo la strada
in discesa: poi cominciò la pianura, ed io nel ritmo del cammino
e nell’incanto della solitudine della Gallura, entrai in uno stato di particolare
armonia dello spirito con il corpo. Grazie al ritmo del camminare e all’àmbito
di primordialità pura delle forze in cui movevo, grazie al silenzio
e alla pace, possenti sino alla solennità, ebbi d’un tratto, nella
forma possibile alla struttura interiore propria alla mia età, la
prima esperienza del pensiero vivente. Procedendo a passo veloce ma uguale
e lieve, andavo facendo una sintesi della mia vita e del suo significato,
quando sentii al centro di essa, resasi quasi visibile, la forza del pensiero
come una luce che tendeva a penetrare nell’anima e che mi avrebbe rivelato
nel tempo il senso di tutto ciò che per ora semplicemente mi appariva:
percepii la connessione di questa luce con l’essenza delle cose, dell’uomo
e dell’Universo. Guardandomi intorno, vedevo la realtà segreta della
natura, magica nella sua purezza, che mi veniva incontro: mi appariva tutto
connesso da un’unica animazione, come una sinfonia, essendo le forze molteplici
e diverse. Ricordo nettamente che le impressioni interiori destantisi in
me non erano soltanto imagini, ma simultaneamente percezioni di forze.
Non ne ero però sorpreso: sapevo benissimo che quella era la realtà.
Vi fu un momento in cui, guardandomi intorno, mi parve di essere circondato
da entità e da archetipi: sentii la gioia di ravvisare in me il
fluire della Luce, come una forza operante in tutto l’essere, e di un tratto
constatai che il mio corpo perdeva peso. Non osai forzare l’esperienza,
una prudenza mi tratteneva, ma sapevo bene che, se avessi insistito nella
percezione della forza-luce, avrei potuto sollevarmi da terra: il mio passo
divenne veloce e privo di sforzo: quasi correndo percorsi i rimanenti chilometri
di quella solitaria strada della Gallura. Dovevo poi passare diverse ore
difficili nella boscaglia, privo di luce e di orientamento, avendo smarrito
il sentiero verso Barrabisa, finché sulla vetta di una collina lo
ritrovai, vedendo dalla Corsica il raggio del lontano ma nitido faro di
Bonifacio.
- M. Scaligero, Dallo Yoga
alla Rosacroce, Perseo, Roma 1972
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