Avevo circa 21/22 anni quando comprai casualmente Tecniche della
concentrazione interiore di Massimo Scaligero, lo lessi e non ci capii
nulla. Poi cominciai a leggere L’uomo interiore e a metà
libro sentii di aver trovato ciò che cercavo. Cosí mi tuffai
nella lettura degli altri suoi testi. Scrissi ad Alfredo Rubino – l’indirizzo
era indicato nelle prime pagine dei libri – chiedendogli chi fosse Massimo
Scaligero (un autore del secolo scorso? un autore vivente?)
Fu quasi una sorpresa ricevere da Alfredo l’indirizzo di Massimo. Cominciò
cosí una corrispondenza con Massimo di cui conservo sette lettere,
come sette bellissimi doni. Quindi lo incontrai per la prima volta in Via
Cadolini il 7 novembre 1978. Avevo appuntamento alle quattro del pomeriggio
e mi piace ricordare come quella volta alle due ero già sul posto,
passeggiando “quasi da fermo” per ben due ore prima di salire.
Gli amici che conobbi in quei giorni, i discorsi e i sentimenti che
subito nascevano tra noi, tutto ciò fece nascere l’idea che io venissi
a vivere a Roma. E cosí fu. Nel giro di due settimane tornai a casa,
lasciai il precario lavoro di fotografo (ero ancora studente di biologia),
vendetti l’automobile, feci le valigie e venni a Roma (avevo 24 anni).
Ricordo quei giorni e i mesi che seguirono come la vera stagione di primavera
di tutta la mia vita.
A Roma cominciai a lavorare come correttore di bozze, e il mercoledí
e il sabato potevo partecipare alle riunioni di Via Barrili.
L’estate seguente – era il 1979 – due notizie importanti mi raggiunsero
da casa, quasi negli stessi giorni: mio fratello, ancora studente universitario,
aveva messo incinta la sua ragazza (oggi ho un bellissimo nipote di 20
anni), e a mio nonno avevano diagnosticato un tumore incurabile.
Capii che dovevo tornare a casa, desideravo stare con la mia famiglia,
sentivo che il mio posto in quel momento era con i miei e che la mia esperienza
a Roma stava terminando. Decisi quindi di tornare.
Il giorno prima di partire avevo appuntamento con Massimo in Via Cadolini.
Al termine dell’incontro – già ci eravamo salutati – ero ancora
sulla porta quando mi voltai verso di lui per chiedergli qualcosa che per
tutto l’incontro non ero stato capace di chiedere: “Massimo… vorrei chiederti…
se è possibile… se tu potessi dire una preghiera… per i miei”.
Ricordo che dissi quelle parole con lo sguardo basso, non per timidezza
o pudore: perché allora non sapevo se davvero fosse possibile che
un altro potesse pregare per qualcuno che neppure conosceva, quindi temevo
che la mia domanda fosse poco sensata. Quel “se è possibile”
significava che davvero io non sapevo. Ma avevo una sincera certezza: che
il mondo spirituale non soltanto parlava a Massimo, ma anche lo ascoltava.
Massimo mi appoggiò una mano sulla spalla: “Ma certo!” Io alzai
gli occhi e incontrai il suo dolcissimo sguardo pieno di amorevole comprensione.
Mi strinse a sé e mi abbracciò. Fui cosí sorpreso
da quell’abbraccio che non seppi ricambiarlo fisicamente. Poi ci guardammo
con tanto affetto per un lungo momento e mi allontanai con un profondo
sentimento di gratitudine […]
Rividi Massimo, e fu l’ultima volta, qualche mese dopo, nel dicembre
1979, in Via Barrili. Al termine della riunione lo salutai ed uscii a fumare
una sigaretta e ad aspettare gli amici che si attardavano. Ero ancora da
solo sul cancelletto – faceva molto freddo – quando uscí Massimo,
mi passò vicino senza vedermi, camminò in su per una decina
di metri, quindi si girò per tornare indietro. Mentre camminava
verso di me stavo per salutarlo, ma di colpo sentii che lui era in meditazione
profonda e mi bloccai. Avrei potuto chiamarlo, avere da lui ancora un saluto,
ancora qualche parola o consiglio da portare nella memoria, ma sentii nel
profondo che era piú giusto non disturbarlo, cosí non mi
mossi. In quel momento capii che era l’ultima volta che lo vedevo, che
non l’avrei piú rivisto.
Mi passò accanto ancora senza vedermi, in meditazione. Lo guardai
scendere lentamente i gradini verso la casa di Mimma e Romolo, e cosí,
in assoluto silenzio, lo salutai e lo ringraziai.
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